CARITAS

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QUARESIMA 2023

LA CARITÀ DELLA NOSTRA QUARESIMA -“LA PACE INCOMINCIA DA ME”

Caritas propone un percorso di riflessione, informazione e azione sul tema della Pace che integrerà un’iniziativa caritativa destinata alla Turchia e alla Siria sconvolte dal grave sisma che ha causato migliaia di vittime e devastato interi territori.
Nel dettaglio: il progetto “La pace comincia da me” partirà dalle guerre dimenticate nel mondo, si approfondiranno le cause etniche, ideologiche, religiose, economiche che le provocano, per arrivare ai “nostri” conflitti interpersonali e personali.
Svilupperemo l’iniziativa su schede inserite nel settimanale Insieme, su cartelloni esposti nelle Chiese e negli incontri con esperti che proporremo durante il periodo quaresimale.

Inoltre, proponiamo di aderire all’iniziativa/appello dell’Arcivescovo Delpini. Concretamente dal 26 febbraio, prima domenica di Quaresima, fino al 2 aprile, domenica delle Palme, sarà possibile sottoscrivere l’appello per la pace lanciato dall’Arcivescovo a tutta la Diocesi. L’appello sarà pubblicato sul portale diocesano (www.chiesadimilano.it) e, seguendo l’opportuno link, ciascuno potrà sottoscriverlo indicando nome, cognome e luogo di residenza. Naturalmente, per le persone e le comunità che lo desiderassero, sarà possibile anche raccogliere le adesioni attraverso moduli cartacei da inviare all’indirizzo che verrà comunicato.

L’arcivescovo si propone poi di raccogliere le adesioni e di farle pervenire alle autorità italiane ed europee. Anche la nostra comunità continuerà in quest’impegno per la pace sollecitando il Consiglio Comunale di Bollate e le altre amministrazioni civili del Decanato a discutere e ad approvare una mozione nella quale si chiede al governo aderire al trattato di proibizione delle armi nucleari a cui l’Italia non ha finora aderito.

QUARTA SETTIMANA

Questa settimana la riflessione si sposta sulla radice più intima e personale del conflitto. Alcune battaglie nascono dal cuore dell’uomo: per questo rifletteremo, nell’incontro del 24 marzo a Santa Monica con il prof. Massimo De Giuseppe, sulla relazione guerra-pace nell’età contemporanea ricercando le radici dei conflitti attuali. Per prepararci, riprendiamo alcuni passaggi dell’omelia che il Card. Martini ha pronunciato nella veglia per la pace del 1991. Parole che, seppur datate, sono attualissime e dimostrano che la guerra ha radici profonde e che la pace necessita di un altrettanto profondo lavoro nel cuore dell’uomo.
”Noi siamo in grande angoscia” (Neemia 9, 37), da queste parole conclusive della lunga preghiera di Neemia, il Card. Martini parte per introdurci nell’ambito del nostro modo di pregare per la pace, che non è l’ambito etico politico, quello dei giudizi a livello del diritto internazionale, perchè su tale livello è già stato detto e scritto molto, ma lo stesso ambito della preghiera di Neemia: quello dell’invocazione, dell’intercessione, del pentimento. Ma qui nasce la domanda: non è questo un ambito sterile? Non è un ambito che ci fa eludere i problemi, che li scavalca, per così dire, senza risolverli? Inoltre, a volte, ci viene spontaneo indirizzare, come Giobbe, una protesta a Dio: “Abbiamo pregato tanto, abbiamo chiesto più volte la pace, ma tu, Signore, non ci hai esaudito!” Ecco un grande motivo della nostra sofferenza civile, umana, religiosa, che tocca il cuore della fede: “Perché Signore non ci ascolti?” A questo punto il Card. Martini cerca le ragioni: ha detto giustamente qualcuno: “I fiumi di sangue sono sempre preceduti da torrenti di fango” e in tali torrenti abbiamo sguazzato un po’ tutti noi umani, uomini e donne di ogni paese e latitudine: l’immoralità della vita, gli egoismi personali e di gruppo, la corruzione politica, i tradimenti e le infedeltà a livello personale e familiare, il menefreghismo, l’indolenza e lo sciupio delle energie di vita per cose vane, frivole o dannose, l’insensibilità di fronte ai milioni di esseri umani la cui vita è soffocata … e poi vorremmo che Dio venisse incontro a una preghiera che spesso nasce proprio dalla paura di perdere le nostre comodità, il nostro benessere, di dover un giorno pagare di persona per i nostri errori. Se oggi c’è una guerra non è perché le cose si siano mosse quasi per caso o per sbaglio, pur se ci sono delle responsabilità precise, a cui nessuno potrà sfuggire. C’è una guerra perché, per tanto tempo, si sono seminate situazioni ingiuste, si è sperata la pace trascurando quelli che Giovanni XXIII chiamava “i quattro pilastri della pace”, cioè verità, giustizia, libertà e carità. Ogni seria preghiera per la pace deve quindi nascere dal pentimento e dalla volontà di ricostituire anzitutto nella nostra vita personale e comunitaria “i quattro pilastri”: verità, giustizia, libertà, carità. Senza tale volontà umile e sincera, la nostra preghiera e la nostra invocazione sono ipocrite. Non sempre la nostra preghiera inoltre è ben indirizzata, chiediamo la pace come qualcosa che riguarda gli altri, insistiamo perché Dio cambi il cuore dell’altro, nel senso naturalmente che vogliamo noi.
Ma come deve essere allora la preghiera per la Pace? Il primo oggetto di un’autentica preghiera per la pace siamo noi stessi: perché Dio ci dia un cuore pacifico. “Dona nobis pacem” significa anzitutto: purifica, Signore, il mio cuore da ogni fremito di ostilità, di partigianeria, di partito preso, di connivenza; purificami da ogni antipatia, pregiudizio, egoismo di gruppo o di classe o di razza. Intercedere non vuol dire semplicemente “pregare per qualcuno”. Etimologicamente significa “fare un passo in mezzo”, fare un passo in modo da mettersi nel mezzo di una situazione. Intercessione vuol dire allora mettersi là dove il conflitto ha luogo, mettersi tra le due parti in conflitto. Si tratta di mettersi in mezzo. Non stiamo parlando dunque di qualcuno che da lontano, esorta alla pace o a pregare genericamente per la pace, bensì di qualcuno che si metta in mezzo, che entri nel cuore della situazione, che stendale braccia a destra e a sinistra per unire e pacificare. Intercedere è stare là, senza muoversi, senza scampo, cercando di mettere la mano sulla spalla di entrambi e accettando il rischio di questa posizione. PREGHIERA PER LA PACE: Dio di misericordia tieni accesa la fiamma della fiducia, che spinga tutti a compiere scelte di riconciliazione soprattutto tra le persone che sono tra loro più indifferenti e distaccate.

TERZA SETTIMANA

Ancora sconvolti dalle incertezze e precarietà che la pandemia ci ha lasciato, la guerra scoppiata in Ucraina ci spinge ogni giorno a chiederci che posto ha nel nostro cuore, e può avere nel nostro agire, la difesa della pace e la promozione della cultura non violenta. C’è davvero qualche cosa che possiamo fare per la pace nelle relazioni quotidiane e vicine, ma anche in quelle internazionali e lontane? Accade che possiamo coinvolgerci nelle guerre “grandi”, solo attraverso i servizi giornalistici, cosa che accentua, per così dire, il nostro senso di impotenza e, conseguentemente, il rischio di pensare che comportamenti di pace come tolleranza, condivisione, equità, accoglienza siano i modi di fare della buona vita comune e comunitaria, che tuttavia poco possono agire sui grandi fenomeni che stravolgono le situazioni di quotidianità. In realtà non esistono occasioni di esonero dalla propria
responsabilità; la pace, anche quando si gioca negli incontri internazionali dei “grandi”, riguarda tutti; per questo, è necessario continuamente ripensarla e connotarla, di volta in volta, nei termini più adatti a farne il richiamo urgente ad un impegno di umanità, piuttosto che un sentimento sterile. Per questo occorre costruire dentro di sé un’educazione alla pace.
Il profilo della cultura della pace, così come oggi lo conosciamo, fu formulato al Congresso Internazionale sulla Pace in Costa d’Avorio nel 1989. Il Congresso raccomandò all’UNESCO di elaborare una nuova visione della pace, basata sui valori universali di rispetto per la vita, libertà, giustizia, solidarietà, tolleranza, diritti umani e uguaglianza tra uomo e donna. Questo, allora nuovo, concetto della pace ha introdotto la cultura della non violenza come chiave per aprire un cammino di crescita nel percorso accidentato delle relazioni tra i singoli uomini, e delle nazioni tra loro. Nell’assunzione personale di impegno, la cultura della pace produce, nel cuore di ognuno, l’estirpazione di ogni radice di risentimento e conflitto nei confronti degli altri. Lì comincia la pace,
costruita “dal basso”, e nasce la convinzione di poter vivere, tutti, in modo diverso. La pace non ha bisogno di un idealismo inconsistente nei fatti ma chiede che ciascuno avvii interventi di cambiamento nella realtà della propria vita. Così sono nate, in tutto il mondo, comunità e associazioni che, nei loro obiettivi, “lavorano” per la pace e offrono opportunità di partecipazione a iniziative che consentono di esercitare la propria responsabilità e cittadinanza civile. Queste comunità talora colgono esigenze specifiche del continente in cui operano. Ad esempio, l’Asia è il continente dove il fenomeno del lavoro minorile è più diffuso e dove sopravvivono forme di lavoro forzato dei bambini. Si calcola che in India e in Indonesia i minori, attivi economicamente, siano intorno al 25% e l’orario lavorativo è consentito dalle dodici alle quindici ore, giornaliere. Per questo le comunità e le scuole della pace in Asia combattono in particolare contro l’esclusione scolastica e l’avviamento precoce dei bambini al lavoro. In Indonesia le scuole della pace si caratterizzano anche per il loro carattere multietnico e interreligioso, cooperando all’edificazione di una società pacifica senza odi religiosi o etnici e cercando di trasformare la mentalità collettiva, prevalentemente radicata su valori e comportamenti della produzione e del mercato, che sono la causa dello sfruttamento dei minori. In molte situazioni aderire alle comunità di pace è rischioso, specie in zone dove i diritti umani non sono garantiti. Valga, come esempio per tutte, la storia della comunità di San José de Apartadò in Colombia. Questa comunità di pace si costituì il 23 marzo 1997;come suo obiettivo volle difendere i diritti umani. Ancora oggi, I suoi membri coltivano cacao per il commercio equo e ridistribuiscono i proventi tra i membri della comunità. Praticano la non violenza e chiedono, senza recedere, giustizia per le vittime della guerriglia di gruppi paramilitari e dell’esercito. German Graciano Posso, membro della comunità, è stato insignito del premio “Difensore dei diritti
umani per il 2018 in Colombia”. Afferma: «Veniamo minacciati, picchiati e anche uccisi, perché non aiutiamo in alcun modo i paramilitari»; aggiunge: «Non forniamo informazioni, cibo o soldi». Senza tradire la pace, in questa comunità si difendono i diritti civili e umani attraverso la non violenza. Gli associati alla comunità vivono scortati, dal 2009, dai volontari di Operazione Colomba, il corpo non violento di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, che hanno la funzione di scorta civile internazionale; essi si occupano di accompagnare i membri della comunità in tutti i momenti della giornata. Anche in Italia sono attestate e dimostrate violazioni dei diritti, specie nei confronti dei migranti. Da noi è presente, da 55 anni, l’attivissima e efficacissima comunità di Sant’Egidio, di cui tutti sentiamo parlare in TV, per il suo impegno a favore degli “ultimi”. Essa offre a tutti la possibilità di collaborare direttamente alla propria attività, informandosi e aderendo attraverso il suo sito Internet. In Italia,
Sant’Egidio è la comunità di pace più conosciuta ma sono presenti molte altre comunità, con cui scegliere di percorrere un cammino di educazione alla pace. PREGHIERA PER LA PACE: Dio di misericordia, aiuta la nostra comunità e ciascuno di noi a trovare modi e soluzioni nuove da praticare per educarsi alla pace.

SECONDA SETTIMANA

In questa seconda settimana di Quaresima vorremmo fermarci a considerare le guerre che ci sono oggi nel mondo, sono più di 160: di alcune sentiamo parlare tantissimo perchè sono vicine a noi, perchè toccano i nostri interessi; altre invece sono silenziose. Le dimentichiamo perchè sono lontane, non fanno notizia, le consideriamo “endemiche”, non ne capiamo le ragioni ma soprattutto
le dimentichiamo perchè non ci sono in gioco interessi economici o commerciali che riguardano il nostro Paese e l’Europa. Inoltre, ci sono zone che sono in guerra anche se non si spara e dove si vive tra attentati respirando odio, rancori, tensioni. Per parlare di questi temi prendiamo spunto dal libro del giornalista Toni Capuozzo: “Le guerre spiegate ai ragazzi”.
Esistono molti tipi di conflitti uno diverso dall’altro nelle cause, nella durata e nelle modalità di combattimento ma tutti i conflitti sono alla fine un bilancio dei morti e dei traumi psicologici di intere generazioni. Perchè scoppiano le guerre? Da sempre per lo più per questioni di territorio, per poter controllare, utilizzare e commerciare le risorse naturali e le ricchezze, dall’oro ai diamanti, dai giacimenti di petrolio all’acqua. Alcune volte per riunire zone dove vivono popoli con la stessa lingua cultura e religione, altre ancora scoppiano per contrapposizioni ideologiche o politiche, per odio etnico, religioso, razziale. Infine, ci sono le rivoluzioni o le guerre civili per la libertà, che sono le più dolorose perchè avvengono all’interno dello stesso gruppo sociale, tra persone che si conoscono. Se le guerre scoppiano per delle ragioni, non esiste nessuna buona ragione per fare una guerra: la guerra può essere comprensibile ma non giustificabile. LE GUERRE NEL MONDO. Il concetto di guerra è cambiato e cambia nel tempo. Con l’attentato dell’11 settembre 2001 è nato il concetto di guerra preventiva: il terrorismo trova riparo dove non c’è democrazia, quindi occorre esportare la democrazia anche con la guerra, anche se spesso tale operazione nasconde interessi economici. L’art.11 della Costituzione recita che l’Italia rifiuta la guerra come strumento di risoluzione di conflitti internazionali, però l’Italia ha partecipato ad operazioni militari perchè è stato introdotto il concetto di guerra umanitaria, necessaria per fermare genocidi, sopraffazioni e prepotenze. Qui si aprono questioni delicate che lasciamo alla riflessione personale: Se non si può negare all’aggredito il diritto di difendersi, allora le guerre di difesa sono giuste? Fino a che punto si può arrivare per difendersi? È giusto utilizzare tutte le armi possibili, quindi anche quelle atomiche? Ma in questo mondo dove la guerra ha messo popoli in ginocchio ci sono segni di speranza: sta crescendo dal basso un movimento pacifista che in modo radicale rifiuta la violenza e la guerra, ci sono operatori di pace (di cui parleremo meglio la prossima settimana) che si stanno impegnando in iniziative diplomatiche e umanitarie. I conflitti non nascono solo dalle follie dei leader o dagli interessi dei mercanti d’armi. Nascono dai sentimenti peggiori che l’uomo ha nel cuore e che ad un certo punto la ragione non riesce più a tenere a bada e vengono fuori. La guerra vive sottotraccia in ogni paese, in ogni comunità, in ogni uomo. Per questo è importante educarci alla pace. PREGHIERA PER LA PACE Dio della pace, donami un cuore aperto, capace di scacciare dalla mente le parole: divisione, odio, avversario, nemico.

PRIMA SETTIMANA

Papa Francesco in occasione dei suoi viaggi nelle zone di guerra ha pronunciato parole forti. Ne proponiamo alcune per iniziare il percorso di riflessione, informazione e azione che ci accompagnerà durante la Quaresima.

Stiamo già vivendo la 3° guerra mondiale, anche se ancora a pezzi. Questi pezzi sono diventati sempre più grandi, saldandosi tra di loro: “FERMATEVI”.

La guerra non è la soluzione, la guerra è una pazzia.

La guerra prima che arrivi al fronte va fermata nei cuori.

Con la guerra tutto si perde, tutto!

Perchè non unire le nostre forze e le nostre risorse per combattere insieme le vere battaglie di civiltà: lotta contro la fame e contro la sete, la lotta contro le malattie e le epidemie, la lotta contro la povertà e le schiavitù di oggi? Perchè?

La guerra lascia il mondo peggiore.

Il cammino della Comunità verso la Pasqua seguirà questo percorso a tappe:

Seconda settimana: considereremo i conflitti di oggi nel mondo, alcuni ben conosciuti altri completamente dimenticati e saremo invitati ad approfondirne le cause.

Terza settimana: la guerra non è solo quella armata, ha radici nell’uomo, per questo rifletteremo sui conflitti più vicini, quelli che ci riguardano: quelli che viviamo in comunità, in famiglia, al lavoro. Proporremo l’esempio di comunità impegnate a costruire la Pace.

Quarta settimana: alcuni conflitti nascono dal cuore dell’uomo, ricorderemo alcuni uomini di Pace e il Prof. Massimo De Giuseppe nell’incontro del 24 marzo a Santa Monica ci parlerà della relazione guerra-pace nell’età contemporanea cercando le radici dei conflitti attuali.

Quinta settimana: non basta dire che vogliamo la Pace, dobbiamo anche responsabilmente fare ciò che è possibile per ottenerla: parleremo del trattato che proibisce l’utilizzo delle armi nucleari – che l’Italia ancora non ha firmato – e, tramite il Consiglio Pastorale Unitario, coinvolgeremo l’Amministrazione Comunale per inviare al Governo l’invito: “Italia ripensaci”.

Domenica delle Palme: verrà proposta l’iniziativa “il pane della Pace” il cui ricavato, come tutte le offerte che verranno raccolte in Quaresima, sarà devoluto per sostenere le popolazioni di Siria e Turchia così duramente colpite dal terremoto.

Ogni domenica si proporrà come impegno la recita di una breve preghiera che, ripetuta più volte al giorno, ci aiuterà ad affidare al Signore questi tempi difficili.

PREGHIERA PER LA PACE: Signore disarma le mie parole, rinnova il mio cuore e la mia mente, perché nell’altro che incontro sappia vedere solo il fratello.

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AVVENTO 2022

RISCOPRIRSI COMUNITÀ DI FRONTE ALLE CRISI IN ATTO

Oggi, 6 novembre 2022, Giornata Diocesana Caritas e Giornata Mondiale dei Poveri, siamo invitati a porre l’attenzione sul periodo difficile che stiamo vivendo. Pandemia, guerra, siccità, caro energia stanno mettendo in crisi le nostre abitudini di vita; beni fino a poco tempo fa consolidati e acquisiti, quali il cibo, la luce e il caldo d’inverno, si stanno improvvisamente rivelando precari. Ciò comporta alcuni rischi: che questi beni diventino appannaggio solo di chi se li può permettere, che le condizioni di vita dei più poveri si indeboliscano, che i legami sociali si inaspriscano minando la convivenza civile, rendendo tutti più soli e più fragili. Come singoli cristiani e come comunità non possiamo rimanere inerti di fronte a ciò che sta avvenendo, anzi abbiamo il dovere di utilizzare questo periodo di crisi per convertirci e vivere in modo rinnovato il Vangelo. La nostra fede deve farsi operosa e consapevole della responsabilità che abbiamo sia nei confronti dei fratelli, soprattutto i più deboli, sia nei confronti del pianeta che dobbiamo considerare come un tesoro prezioso da custodire con cura. Come fare questo? Nella prima lettera ai Corinti Paolo dice: “Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune …” Questo ci indica che ognuno di noi, guidato dallo Spirito, ha un suo compito, deve fare la sua parte, non può tirarsi indietro e demandare ad altri ciò che dovrebbe fare lui. E’ purtroppo quello che succede quando, ad esempio, demandiamo alla Caritas il compito di occuparsi dei più poveri … tanto ci sono loro … ognuno invece deve sentirsi protagonista in prima persona, fratello di tutti come dice Papa Francesco, attento a segnalare le situazioni di disagio che intercetta, attento a condividere le iniziative che vengono proposte, attento a sostenere i volontari impegnati nell’aiuto. A questo proposito, come Caritas di Bollate lanciamo oggi l’iniziatica “OFFRIAMO UNA GOCCIA”: una raccolta di offerte che serviranno ad aiutare le famiglie in crisi attraverso l’acquisto di generi alimentari, buoni spesa e l’attivazione di progetti mirati. Potremo offrire il nostro contributo nella busta con la goccia o direttamente nelle cassette della Caritas che troverete nelle Chiese. “OFFRIAMO UNA GOCCIA” ci accompagnerà durante questo Avvento anche con un cammino a tappe, che ci aiuterà a riflettere sui nostri stili di vita e sulle modalità di relazione con i fratelli. Abbiamo scelto come icona dell’iniziativa una goccia per sottolineare che anche con poco, se ci mettiamo tutti insieme, possiamo realizzare fiumi di bene.

prima settimana: OFFRIAMO UNA GOCCIA

E’ questo lo slogan dell’iniziativa caritativa di Avvento. In questo periodo difficile della nostra storia, in cui pandemia, guerra, siccità, caro energia stanno mettendo in crisi le nostre abitudini di vita e beni fino a poco tempo fa consolidati e acquisiti – il cibo, la luce e il caldo d’inverno – si stanno improvvisamente rivelando precari, il simbolo della goccia ci fa comprendere che anche con poco, in spirito fraterno, possiamo dissetare chi si trova in difficoltà. Durante l’Avvento, come comunità, aiuteremo le famiglie in crisi attraverso l’acquisto di generi alimentari, buoni spesa e l’attivazione di progetti mirati. Lo potremo fare con un’offerta nella busta con la goccia o direttamente nelle cassette della Caritas dislocate nelle Chiese. Saremo inoltre invitati a riflettere sui nostri stili di vita e sulle modalità di relazione con i fratelli, attraverso un percorso a tappe che verrà proposto settimanalmente sul settimanale Insieme. Buon cammino.

IMPEGNO DELLA PRIMA SETTIMANA di AVVENTO – CAMMINARE INSIEME. Camminare insieme è: accorgersi dei compagni di strada, ascoltarli, procedere allo stesso passo; è condividere impegni e percorsi verso una meta comune con lealtà e fiducia in un clima di amicizia.

seconda settimana: RICONOSCERE L’ALTRO

Leggendo il brano evangelico del giudizio finale (Mt 25, 31-36) ci accorgiamo che le persone al cospetto di Gesù ripetono la stessa domanda: «Signore, quando ti abbiamo visto…?». Quindi è evidente che, pur incontrandoLo non Lo hanno riconosciuto. Ci accorgiamo inoltre che Gesù si identifica sia con il Re che giudica la storia, i popoli, ogni persona, sia con il povero affamato, assetato, nudo, straniero, malato e carcerato. Questa identificazione di Gesù con chi è nel bisogno non è un pensiero pio o un semplice simbolismo, ma una realtà estremamente concreta; infatti Gesù dice: «l’avete fatto a me». Gesù è il Figlio di Dio che è diventato realmente uomo, e dunque dal momento dell’Incarnazione, ciò che riguarda l’uomo riguarda direttamente anche Dio perché “con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo” (Gaudium et Spes, 22). Pertanto, in ogni uomo, noi possiamo scoprire la presenza di Dio, incontrarLo, accoglierLo, aiutarLo. Osserviamo inoltre che non si parla di “carcerati ingiustamente”, o di “perseguitati innocenti”, quindi, la bontà dell’altro (o la sua cattiveria) non ci autorizza ad essere buoni solo con i “buoni” e a ripagare i “cattivi” (o presunti tali) con la stessa moneta.

IMPEGNO DELLA SECONDA SETTIMANA di AVVENTO – CAMMINARE INSIEME. Ripensare al brano del Vangelo di Matteo (Mt 25, 31-36) e tradurlo in scelte concrete, reali verso l’altro che incontriamo, ricordandoci che Gesù continua a dirci: «tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me»

terza settimana: FARSI CARICO DELL’ALTRO

“Farsi carico del fratello” ovvero “accettare, in qualche modo, un piccolo o grande peso”; espressione che non sembra particolarmente felice, soprattutto se pensiamo che l’amore per gli altri è il primo comandamento evangelico. C’è un’immagine nel Vangelo di Matteo (Mt. 11,30) che può aiutarci nella riflessione: il giogo. Esso è uno strumento di lavoro che permette a due animali di unire le forze per tirare lo stesso carico. Spesso è inteso come una costrizione, un peso ma, se visto in un’altra prospettiva, esso è, in realtà, uno strumento di collaborazione e nel Vangelo il giogo di cui parla Gesù è il legame che ci unisce a Lui, impegnato a lavorare al nostro fianco per aiutarci a tirare il carro faticoso della vita.
“Prendete il mio giogo sopra di voi”, Gesù ci invita a fare come lui e a mettersi sotto il giogo accanto ai fratelli. Ciò rende il farsi carico dell’altro, cioè la relazione con lui/lei, anche quando fosse difficile (e purtroppo al giorno d’oggi lo è frequentemente), una grande occasione per evangelizzarCi. La fede diventa decidersi a non vivere più come se fossimo soli al mondo, e a lasciare che Gesù entri in maniera decisiva in ogni frammento della nostra esistenza e … troveremo ristoro per le nostre anime. “Il mio giogo, infatti, è dolce e …IL MIO CARICO LEGGERO”, conclude Gesù nel brano evangelico.

IMPEGNO DELLA TERZA SETTIMANA di AVVENTO – Ringraziamo il Signore perché ci è accanto in ogni istante della vita; impegniamoci a osservarci nelle relazioni con i fratelli, iniziando da quelli accanto a noi, e correggiamoci quando vogliamo risolvere tutto da soli; sentiamoci chiamati a rendere la nostra testimonianza più concreta anche attraverso un impegno nel volontariato.

quarta settimana: COSTRUIRE LA PACE

In questo tempo dobbiamo promuovere una cultura dell’incontro e della fiducia per uscire dalla logica della guerra che vede nell’altro il nemico, la minaccia, l’usurpatore e per disegnare strade di pace”. Questo il messaggio che Papa Francesco ha inviato, nei giorni scorsi, al Festival della Dottrina sociale della Chiesa. La fiducia, dice il Santo Padre, è la scintilla che scalda il cuore, che ci fa fare un balzo al di là di noi stessi, che ci avvicina all’altro per capirne il punto di vista, che ci permette di trasformare l’egoismo in fraternità, l’indifferenza in passione per l’uomo e le sue storie, la spada in aratro, le lance in falci.

IMPEGNO DELLA QUARTA SETTIMANA di AVVENTO – Cerchiamo di fare qualche balzo in avanti verso l’Altro – un familiare, un amico, un vicino di casa, un collega per cercare di capirlo, di conoscerlo meglio – e verso nuovi modi di vedere – partecipando, ad esempio, all’incontro di lunedì 5 dicembre al Paolo VI ore 21: “Giustizia riparativa, una strada per arrivare alla Pace”.

quinta settimana: RISPETTARE IL CREATO

“Abbiamo imparato a volare come uccelli, a nuotare come pesci, ma non abbiamo ancora imparato la semplice arte di vivere come fratelli”. Questa frase, pronunciata da Martin Luther King più di 50 anni fa, è ancora attualissima: si parla molto di solidarietà ma facciamo fatica a viverla. È difficile pensare ed agire in termini di comunità, considerare la Terra, la nostra casa, un bene di tutti. Infatti, lo sfruttamento delle risorse naturali che sta avvenendo – in nome del mercato e del progresso – è un debito che una parte dell’umanità sta pagando e pagherà in futuro.

IMPEGNO DELLA QUARTA SETTIMANA di AVVENTO – La terra ci precede, è un’eredità: prendiamocene cura!
Evitiamo di sprecare acqua, cibo, energia; rispettiamo gli equilibri e contrastiamo lo sfruttamento della natura e degli uomini con acquisti e scelte “etiche”.

sesta settimana: ACCOGLIERE LO SPIRITO DI VITA

Diceva Papa Francesco lo scorso Natale: “COLUI che abbraccia l’universo ha bisogno di essere tenuto in braccio. LUI che ha fatto il sole, deve essere scaldato. La TENEREZZA in persona ha bisogno di essere coccolata. L’AMORE infinito ha un cuore minuscolo, che emette lievi battiti. La PAROLA eterna è infante, cioè incapace di parlare. Il PANE della Vita deve essere nutrito. Il
CREATORE del mondo è senza dimora. Oggi tutto si ribalta: DIO viene al mondo piccolo. La sua grandezza si offre nella piccolezza”.
Queste parole ci fanno pensare che Dio ama il ribaltamento, ciò che ci pare insignificante può essere molto importante per la nostra vita, lo scarto potrebbe rivelarsi la prima scelta. Le persone che incontriamo e le esperienze che ci capitano, anche se inaspettate, potrebbero diventare grandi occasioni. Ciò che non vediamo mentre percorriamo veloci i nostri giorni potrebbero essere scintille di vita, semi di speranza, segni dell’amore per l’umanità.

IMPEGNO DELLA SESTA SETTIMANA di AVVENTO – Viviamo le nostre giornate con gli occhi aperti e atteggiamento
accogliente e gentile, dando spazio all’imprevisto.

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 EMERGENZA UCRAINA

Lo scoppio del conflitto in Ucraina vede la rete Caritas impegnata per portare aiuto alla popolazione. La situazione di emergenza si sta evolvendo di ora in ora ma, grazie al coordinamento con le Caritas locali, si è già operativi nel sostenere le famiglie in urgente stato di bisogno. Si sta agendo in modo coordinato e efficiente grazie alla presenza sul territorio ucraino di Caritas Ukraine (Chiesa cattolica di rito bizantino) e Caritas Spes (Chiesa cattolica latina); le attività di sostegno alla popolazione in emergenza sono già in atto, sia per quanto riguarda l’accoglienza in luoghi sicuri, il trasporto delle famiglie sfollate, la fornitura di pasti, indumenti, ecc. La solidarietà si è estesa anche nei paesi limitrofi dove i profughi si stanno riversando; le Caritas di Polonia, Moldova e Romania, in collaborazione con le istituzioni e le ong locali, sono in prima fila nell’organizzazione dell’accoglienza e chiedono un aiuto per far fronte a tale emergenza.

COME SI PUO’ AIUTARE? Caritas Ambrosiana sconsiglia RACCOLTE DI BENI, GENERI ALIMENTARI, MEDICINALI E ALTRO e non autorizza nessuno a raccogliere beni in suo nome da inviare in Ucraina. Al momento la situazione è molto complessa e non è possibile assicurare il trasporto e la distribuzione; inoltre i costi di trasporto e le procedure doganali potrebbero rendere altamente inefficace questo tipo di sostegno. Caritas Ambrosiana ha avviato una raccolta fondi destinata a contribuire alla fornitura di beni e materiali attraverso:

  • CARTA DI CREDITO online: https://donazioni.caritasambrosiana.it
  • POSTA: C.C.P. n. 000013576228 intestato Caritas Ambrosiana Onlus – Via S. Bernardino 4 – 20122 Milano. CAUSALE OFFERTA: Conflitto in Ucraina
  • BONIFICO: C/C presso il Banco BPM Milano, intestato a Caritas Ambrosiana Onlus IBAN:IT82Q0503401647000000064700 – CAUSALE OFFERTA: Conflitto in Ucraina

Caritas Cittadina di Bollate destinerà, per questa emergenza, le offerte che saranno raccolte nelle cassette della carità di tutte le chiese della città durante la Quaresima. Inoltre è pronta con i suoi servizi e i suoi volontari, in stretta collaborazione con l’amministrazione comunale, a far fronte alle situazioni di emergenza che si verificheranno sul territorio. 

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Emergenza-Bosnia

https://emergenze.caritasambrosiana.it/emergenza-profughi-bosnia

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logo caritas

Via Leone XIII 9, Bollate – Tel. 02 33300950,

 caritas bollatewww.caritas.itwww.caritasambrosiana.it , 

“la carità è molto piu’ impegnativa di una beneficienza occasionale : la prima coinvolge e crea un legame, la seconda si accontenta di un gesto”

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Il giornale di strada Scarp de Tenis, prodotto editoriale realizzato da giornalisti professionisti e venduto da persone senza dimora e gravi emarginati, è stato avviato negli anni ’90.
Sebbene vi siano altri “giornali di strada”, Scarp de’ tenis si caratterizza in quanto progetto sociale di accompagnamento dei venditori e dei collaboratori, articolato in più aspetti, capace di un approccio globale alla persona, anche grazie al supporto dell’associazione Amici di Scarp de’ tenis.
La vendita del giornale è realizzata, oltre che in strada, in molte parrocchie della Diocesi di Milano e nelle altre città nelle quali sono presenti o redazioni locali o “centri di irradiamento”: essa consente ai venditori di avere un reddito dignitoso (per ogni copia venduta, al prezzo di copertina di 3 €, al venditore rimane un netto di 1 €).
Ad oggi già molte parrocchie della Diocesi di Milano consentono la vendita della rivista, previ accordi presi dagli operatori del progetto, permettendo quindi ad un numero significativo di persone senza dimora o quantomeno in difficoltà di avere un reddito dignitoso.

CALENDARIO 2023
Sabato e Domenica 4 e 5 marzo: S. Monica Ospiate – Madonna in Campagna Bollate
Sabato e Domenica 1 e 2 aprile: S. Antonio Cascina del Sole – San Giuseppe Bollate
Sabato e Domenica 6 e 7 maggio: S. Martino Bollate
Sabato e Domenica 3 e 4 giugno: S. Bernardo Cassina Nuova
Sabato e Domenica 2 e 3 settembre: S. Monica Ospiate – Madonna in Campagna Bollate
Sabato e Domenica 7 e 8 ottobre: S. Antonio Cascina del Sole – San Giuseppe Bollate
Sabato e Domenica 4 e 5 novembre: S. Martino Bollate


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DUE MANI IN PIù

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FONDO SAN GIUSEPPE

Si tratta di un fondo speciale per offrire un primo soccorso a coloro che, a causa dell’epidemia Covid-19, sono privi di forme di sostentamento. All’interno degli allegati più sotto, trovi tutte le info utili per aderirvi.

fondo san giuseppe (1)
fondo san giuseppe (2)

fondo san giuseppe (1)  fondo san giuseppe (2)

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TESTIMONI DELLA CARITA’: MARCELLO CANDIA

Raffinato esponente dell’alta società milanese, tre lauree, proprietario e direttore di un’affermata industria, a 49 anni Marcello Candia (1916- 1983) decise di seguire l’invito rivoltogli vent’anni prima da un missionario: vendette l’azienda e si trasferì nella trascurata regione alla foce del Rio delle Amazzoni, dove realizzò un lebbrosario. Dirà lo stesso Candia nel 1975 “Costruire l’ospedale è stato duro: finanze, trasporti, tecniche di costruzione, personale incapace in loco, ritardi… ma farlo funzionare è stato due volte più duro.” Ma aggiungerà anche “La più grande gioia che ho provato è stata proprio questa: vedere quella gente, rassegnata da secoli al tremendo destino della malattia considerata invincibile, acquistare speranza”. Ogni tanto tornava in Italia, dai suoi conoscenti ed ex colleghi, a chiedere altri soldi con cui fondò sempre in Brasile altre tredici opere (ospedali, centri di accoglienza per disabili, una scuola per infermieri, persino un convento). Da ricco che era, Marcello Candia, dichiarato “Venerabile” nel 2014 da Papa Francesco, si è fatto povero per aiutare i diseredati. Da ricchi che erano (di soldi, d’ingegno, di prospettive, di capacità, di potere) non si contano i cristiani che nei secoli hanno imitato il loro Signore. La storia si ripete: nei suoi errori ma anche, pur se spesso sottaciute, nelle sue opere di bene.

marcello candia

Il mio ricordo di Marcello Candia.
Alla vigilia del prossimo mese di Ottobre indetto da papa Francesco come mese missionario straordinario dal titolo “Battezzati e Inviati”, presentiamo un’altra figura non solo di testimone della carità, ma anche di missionario.
Caro Marcello, dopo tanti anni, oggi provo a mettere insieme i ricordi che si affastellano nel cuore e nella mente di quelli che sono stati i nostri incontri nel tempo: Non ho un ricordo preciso di un primo incontro perché sei sempre stato un caro amico di famiglia e ricordo, da quando posso avere memoria, quanto aspettavamo con ansia ogni anno, intorno a metà Novembre il tuo arrivo a Milano per la “campagna invernale” così come la chiamavi tu, ovvero il periodo prenatalizio che dedicavi alla raccolta fondi in Europa per i tuoi progetti in Brasile.
Così immancabilmente in quel periodo dell’anno ti presentavi a casa nostra sempre elegante in doppio petto scuro con un fazzolettino bianco nel taschino, in mano avevi un grande mazzo di rose rosse che offrivi a mia madre e poi con nostra grande gioia ti fermavi a cena. Portavi una borsa di pelle marrone piena di foto scattate da te in Brasile: foto di bambini, donne, anziani, lebbrosi e di splendidi paesaggi amazzonici, di missionari, suore, padri e volontari. Tutta la mia famiglia, e a volte anche in compagnia di alcuni amici, si sedeva intorno a te incantata ad ascoltare i tuoi racconti che insieme alle foto ci portavano con la mente e con il cuore direttamente in Brasile. Due impressioni forti ancora sento nell’animo di quelle serate: la prima riguarda direttamente te, Marcello. Mi colpiva come il tuo aspetto da manager industriale, di gentilman d’altri tempi potesse stare insieme con la tua vita missionaria in luoghi miseri, poveri, a volte quasi estremi. Eri davvero un missionario un po’ speciale. E poi mi colpivano i racconti degli incontri che facevi con i più umili e fragili: malati, lebbrosi, poveri, disabili e come riuscissi a farti “piccolo” perché l’incontro fosse tra persone alla pari che si vogliono bene. E’ diventato famoso il racconto dell’incontro che hai avuto con una donna lebbrosa a Marituba, che ti è venuta incontro con un bicchiere d’acqua perché ti ha visto molto assetato ed accaldato. “Ero andato al lebbrosario di Marituba per vedere come poter aiutare i malati che avevo saputo che vivevano in condizioni pessime e arrivando lì ho avuto un piccolo mancamento forse per il caldo e per il dolore che avevo davanti a tanta sofferenza, quando una donna lebbrosa mi si è avvicinata con un bicchiere d’acqua in mano chiedendomi se poteva essere d’aiuto”. Quell’incontro ti ha aiutato a cambiare la prospettiva della vita: Ognuno di noi può sempre dare e nello stesso tempo ricevere indipendentemente da chi siamo: una grande lezione di umanità per tutti noi. 
Quando ho compiuto 19 anni, dopo l’esame di maturità, ti domandai se avessi potuto venire anch’io in Brasile per un periodo, i miei genitori erano già venuti più volte per brevi visite. 
Inizialmente un po’ perplesso ma alla fine accettasti. Non eri abituato ad avere giovani volontari.
Sono partita con mia sorella Angela, a settembre dell’81 per Macapà dove siamo rimaste circa 3 mesi. Ho potuto quindi vederti dal vivo in Brasile. Eri sempre impegnatissimo e ti dividevi tra incontri istituzionali finalizzati a realizzare i progetti, incontri con i missionari e volontari per poter essere di sostegno e appoggio ed anche per avere resoconti dell’andamento dei progetti e poi dedicavi un tempo privilegiato ai malati, e alle persone più bisognose sia nell’ospedale da te “costruito”, sia nelle case, accompagnato dalle suore Carmelitane. Ricordo che in queste giornate piene alle 18 cercavi sempre di partecipare alla messa in ospedale insieme ai malati e ancora una volta diventavi piccolo, piccolo per essere chierichetto, “voglio essere anche così a servizio di Cristo e della Chiesa”. 
Con te abbiamo viaggiato all’interno del Brasile per scoprire nuovi progetti e incontrare nuovi missionari. Marcello, volevi sempre allargare i tuoi orizzonti. Non ti bastava avere costruito un ospedale, un Carmelo a Macapà, un centro sociale al lebbrosario di Marituba. Avevi capito che i bisogni in Brasile erano tanti e quando incontravi qualcuno che sapeva rispondere in modo adeguato lo volevi sostenere e appoggiare così che ogni anno tornavi in Europa con nuovi racconti per gli amici. Volevi coinvolgere più persone possibili per costruire una catena di solidarietà. 
L’anno dopo, in primavera, sono tornata ancora per un periodo in Brasile.
Nessuno di noi avrebbe potuto sapere che dopo poco più di un anno tu ci avresti lasciato ed io mi sarei sposata con Marco, che avevi conosciuto a casa mia a Milano e poi in Brasile e ti era molto caro. Ti avevamo scelto come testimone di nozze, ma per solo un mese non sei riuscito ad essere presente. Sei tornato a Milano nell’agosto dell’83 malato, consumato dal tumore e penso anche da tutto il bene che avevi donato intorno a te. Il 31 Agosto è stato il tuo ultimo giorno in terra. Sei riuscito a salutare tutti i tuoi familiari ed anche molti amici e dal cielo a benedire il nostro matrimonio. Grazie Marcello anche per essere stato all’origine della nostra famiglia!
Oggi, dopo quasi 40 anni da allora, da consigliera della Fondazione Candia penso che il tuo spirito vive ancora in mezzo a noi e seguendo il tuo stile e la strada che ci hai indicato i progetti in Brasile continuano, sono tanti e diversi, sempre per chi ha più bisogno: scuole, ospedali, centri sociali ed educativi, ambulatori medici, centri per disabili… Gli amici che ci sostengono sono tanti e tu Marcello continua ad accompagnarci così come sai. Grazie!

Marina Lazzati,consigliera della Fondazione Candia

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fratel ettore

TESTIMONI DELLA CARITA’: FRATEL ETTORE
Uno di noi lo ha conosciuto direttamente
Era un giorno di luglio del lontano 1979. Don Riccardo Pezzoni, ai tempi direttore della Caritas Ambrosiana presso cui svolgevo servizio come obiettore di coscienza, mi disse: “ti porto a conoscere un frate un po’ matto che nei pressi della Stazione Centrale ha avviato un’accoglienza per i poveri della strada”.
Siamo arrivati in fondo a via Sammartini e proprio sotto i binari della ferrovia, in uno di quegli stanzoni che probabilmente prima era usato per carico-scarico delle merci, appena entrati ci appare innanzi una distesa di tavolini, uomini e donne di tutte le provenienze del mondo stanno mangiando, alcuni hanno a fianco i loro fagotti; il vociare è vivace, qualcuno distribuisce loro il cibo e tra questi sbuca un personaggio strano, indossa una talare nera sdrucita con una grossa croce rossa sul petto e un grembiulone legato ai fianchi. Don Riccardo alza la voce per farsi sentire: “Ciao Ettore!” “Caro don!”, la risposta illuminata da un gran sorriso. Ci viene incontro dicendo .”Che bello!… un giorno sarà il Signore a farci sedere e ci servirà lui.
Io, povero ragazzino di vent’anni, già frastornato dall’impatto con quell’ambiente, mi trovo improvvisamente piazzati tra le mani due cartoni di latte, e fratel Ettore che mi dice: “va tra i tavoli, un bicchiere a testa!”.
Ecco, questo è stato il mio primo incontro con quest’uomo e l’inizio del cammino al suo fianco a servizio dei poveri di Milano. Un cammino che durò nove anni, passati per lo più nel Rifugio di via Sammartini e in parte a Seveso dove accoglievamo le persone intenzionate a staccarsi dall’alcool. 
Dopo lo shock iniziale, via via andava affiorando dalle profondità del cuore qualcosa difficile da descrivere, so solo che si impose sul desiderio istintivo di fuggire e di non voler avere a che fare con quei volti, quegli odori, quelle storie che lasciavano trasparire disperazione e al tempo stesso voglia di vivere.
E poi questo uomo. Dato così, a fondo perduto, 24 ore su 24, attento ai bisogni di tutti, disposto a portare persino il carico di frustrazione e di angoscia che chi vive sulla strada sovente porta con sè.Ed io guardavo, guardavo e non capivo, ma un gusto nuovo della vita e del dono di sè dentro di me si imponeva.
Nel giro di qualche mese altre due giovani ragazze, Isabella e Ornella, hanno ceduto a quella forza attrattiva del dono di sè a tempo pieno e cosi ci siamo ritrovati ‘gettati’ incoscientemente in un servizio che non conosceva orari, dietro al passo instancabile di fratel Ettore.
Una sera, sul tardi, dopo che avevamo dato da mangiare a circa 120 persone e sistemate per la notte un’ottantina, fradici di stanchezza, arriva fratel Ettore e ci fa : ” Facciamo un giro in stazione a vedere se c’è qualcuno che ha bisogno…” Era il giro che lui faceva sempre. Le panchine, le sale d’aspetto, i sotterranei dove diversi si rifugiavano a dormire sui cartoni…, Giacomino, Armando, Romanino, Michele, Angiolino…….Per tutti l’approccio suo era : “Amico!, come stai?, hai fame?…”, una carezza, un bicchiere caldo, un panino. Ai più malmessi, gambe gonfie, ulcere, l’invito a venire con noi al Rifugio. 
In uno di questi giri notturni in stazione incrociamo una figura longilinea, dai lineamenti forse un Etiope, sporco, parla con qualche interlocutore immaginario della sua mente, zoppica. Fr Ettore : “Amico, fammi vedere!” , si china sui piedi piagati con su dei rimasugli di calzature rotte che portava a mo’ di ciabatte. “Tò, prova queste!”. Si toglie le sue scarpe e gliele fa indossare. Un sorriso e se ne va. Che bello quel sorriso. Lasciava intravvedere denti scuri e rovinati, ma quando un povero ti sorride, è sempre bello, ti entra dentro e non te lo scordi più. E quel frate pazzo? Ancora più contento di lui se ne tornò praticamente scalzo.
Nei lunghi anni condivisi, i fatti di questo genere sono stati infiniti e non c’era verso di richiamarlo ad avere anche un po’ cura di sè, ad essere più prudente nell’esporsi ai pericoli, a non sfiancarsi di fatica…, ma quando si trattava dei suoi poveri non c’era verso.
Anche il nostro caro amico il cardinal Carlo Maria Martini lo conosceva bene, lo apostrofava ‘testone’, ma gli voleva un bene dell’anima. Certe sere, soprattutto d’inverno veniva a trovarci di nascosto con il suo segretario di allora. Una di quelle volte eravamo vicini al Natale, faceva molto freddo, avevamo accolto molti dei nostri amici , eravamo già pieni ma è arrivato un gruppo dello Sri Lanka. Erano spaventati, intirizziti, persi. Come potevamo lasciarli fuori con quel freddo?! Così, mentre eravamo tutti indaffarati a far saltar fuori ancora qualche trapunta per sistemarli negli ultimi angoli rimasti degli stanzoni, arriva Martini, di sorpresa, senza preavviso. Era di poche parole, osservava e si percepiva che lasciava entrare in cuore ciò che vedeva, quella situazione, gente sui divani, sulle poltrone, qualcuno in terra, i loro volti. “Ettore, il mio testone…” diceva, e poi rivolto a noi : “ma voi non staccate mai?…Siete pazzi…, ma si sa che per seguire Gesù un po’ pazzi bisogna esserlo”.
Qualcuno mi ha chiesto : “Tu che gli hai vissuto accanto cosa dici di fratel Ettore? Era un santo?”. Mah, a me non piace tanto come termine….Che dire quindi, un profeta? Ecco, credo sia un termine più appropriato a fratel Ettore. Quando vedi una persona che si mette in gioco per chi è in difficoltà, sei davanti all’incarnarsi di una profezia, la profezia che se si fosse tutti un po’ così, il mondo sarebbe più bello e vivibile. Preziosa questa profezia, da proporre soprattutto ai giorni nostri, valore universale che riguarda tutti.
Non è che per caso intendesse questo Gesù nel racconto di Matteo 25,31-46…?!?

Tiziano Lonardi (un parrocchiano…di Bollate)

LA TESTIMONIANZA DI FEDE CRISTIANA DI FRATEL ETTORE BOSCHINI

Anche al fondatore dell’Ordine cui Fratel Ettore apparteneva, San Camillo de’ Lellis, capitò di entrare in conflitto con i benpensanti e le autorità laiche e religiose del suo tempo, per il suo stile “ scandaloso” nel prendersi cura dei malati. Non c’è da stupirsi allora che fratel Ettore Boschini, camilliano, quattro secoli dopo, abbia incontrato contrasti e opposizione a far accettare il suo originale tentativo di attualizzare il carisma dei camilliani. Lui era un samaritano dei nostri tempi, che dedicò buona parte della sua vita a lenire le sofferenze dei più diseredati e soli, andando perfino a cercarli, per essere per loro un punto di aiuto nella grande città , la ricca Milano, dove non era solo occasionale vedere nelle strade “barboni” disadattati ed emarginati, esclusi da ogni relazione e vantaggio dell’ambiente urbano. A Milano fratel Ettore giunse nei primi anni ‘ 70, destinato alla comunità dei camilliani della clinica “ San Pio X”, dove mentre lavorava, riuscì a conseguire la licenza media e il diploma di infermiere professionale.  La scuola infatti, Ettore aveva dovuto lasciarla a 10 anni, ancora bambino ( era nato infatti il 25 marzo del 1928 a Belvedere di Roverbella – Mantova ), a causa delle ristrettezze economiche in cui viveva la sua famiglia, che era stata di agricoltori benestanti, poi rovinati da una carestia e costretti in difficoltà anche più gravi dalla guerra. Ettore trascorse fanciullezza e adolescenza a lavorare nei campi e nelle stalle; il lavoro era talmente duro per la sua giovane età che gli causò violenti mal di schiena che lo tormentarono poi per tutta la vita. La conversione avvenne durante un pellegrinaggio presso un santuario mariano, a fine 2^ guerra mondiale , e giunto a 24 anni la vocazione religiosa, che avvertiva in sé, si fece insistente tanto che scelse di entrare nell’Ordine dei Camilliani (“perché curano i malati”, disse ), che lo accolsero il 6 gennaio del 1952; Ettore pronunciò i voti temporanei come Fratello, il 2 ottobre del 1953. Per 25 anni fu in corsia : prima all’Alberoni al Lido di Venezia, dove rimase operoso e benvoluto, per una ventina d’anni; poi a Predappio insieme ai malati psichici, infine a Dimaro. I superiori lo assegnarono quindi alla clinica San Camillo di Milano, ben lontani dall’immaginare quanto lo Spirito stava per suscitare in lui.
IL PERIODO MILANESE
Fratel Ettore non tardò a scoprire nella capitale lombarda le miserie che pullulano nella vita metropolitana; scoprì la “crisi delle strade” , dopo il boom economico degli anni ’50 e ’60, in concomitanza con gli effetti della prima crisi energetica (1973). Cominciò così, negli ambulatori della clinica san Camillo, ad ospitare i “barboni” che trovava in strada, per una prima assistenza.  Con il benestare dei suoi superiori, orientò tutto il suo impegno all’assistenza materiale e spirituale dei più diseredati : barboni, extracomunitari, senza tetto, persone sole, senza affetti. Poiché un gran numero di esse gravitavano intorno alla Stazione Centrale, cominciò a portare loro pentoloni di minestra. Fu la notte di Natale del 1977, tuttavia , a cambiare radicalmente la sua vita: andò al dormitorio pubblico con dei panettoni e qualche bottiglia di spumante, per una festa di Natale improvvisata; ne tornò senza calze e scarpe, che aveva ceduto a un “ povero” con i piedi mezzo congelati. Dal giorno dopo i senza tetto di Milano diventarono la sua vera famiglia. Per loro diede vita al primo rifugio in un tunnel sotto la Stazione Centrale; un androne con il soffitto che tremava al passare dei treni e rimbombava dello sferragliare assordante dei vagoni. Ma, dopo questo inizio così impensato, a poco a poco organizzò i suoi interventi e li ampliò: dormitori, mense, dispensari, pronta accoglienza a Milano, Seveso, Bucchianico, Grottaferrata e… fino a Bogotà, in Colombia. Gli ambiti d’impegno seguirono, di conseguenza, l’evolversi delle nuove povertà: dai clochards ai malati di AIDS, alle prostitute dell’est Europa, agli stranieri clandestini costretti a vivere nell’ombra…avanti, senza che venisse meno mai il desiderio di stare vicino ai più diseredati. Lo fermò una malattia incurabile e fulminante, il 20 agosto del 2004. Durante i funerali, il Superiore generale dei Camilliani, padre Frank Monks, disse: “ Lui, come diceva san Camillo, aveva capito bene che i poveri non hanno bisogno di una predica sull’amore di Dio, ma piuttosto di sperimentare questo amore per mezzo della nostra assistenza, fatta “ con più cuore nelle mani”.
IL DIFFICILE VANGELO DELLA STRADA
E’ quello che si vive tra i derelitti, i figli più amati da Dio, che vuole mostrare a loro il Suo amore attraverso di noi. Fratel Ettore, con questa fede, superò infinite difficoltà, incomprensioni, maltrattamenti. Con una veste talare nera, sdrucita, con la grossa croce rossa sul petto, abito tipico del suo Ordine, percorreva Milano in lungo e in largo, alla ricerca dei bisognosi, per aiutarli ma anche, paradossalmente, insegnando loro a prendersi cura “ dei più poveri”, e portandoli anche a lavorare dove c’era un’emergenza o una calamità. Il “ folle di Dio”, così lo chiamavano, sembrava avere un filo diretto con Lui; a qualcuno non piacevano il suo stile liturgico e le sue nozioni teologiche; faceva discutere la sua devozione alla Madonna e il suo passeggiare per Milano con la statua della Vergine fra le braccia o ancorata sulla capotte della sua sgangherata automobile; si criticava il suo intonar preghiere in piazza o agli angoli delle strade, il suo distribuire corone del rosario di plastica bianca, che portava in tasca, invitando a elevare l’animo nella preghiera, pregando la Madonna. Ma la fede di Fratel Ettore, incrollabile, poggiava sulla certezza che ogni uomo, anche se povero, sporco e malvestito, ha una sua dignità che deve essere rispettata. Anche il più povero è una creatura di Dio ed è proprio Lui che vuole mostrargli il Suo amore, attraverso di noi.
Moltissimi, credenti e non, affascinati dalla sua reale e singolare testimonianza del Vangelo cercarono di sostenerlo e aiutarlo in questa sua missione di moderno samaritano.

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EMPORIO DELLA SOLIDARIETÀ

I Centri d’Ascolto del decanato di Bollate ringraziano il Collegio San Carlo che, su sollecitazione di don Luca, durante la Quaresima ha raccolto derrate alimentari e altri generi di prodotti, con grande generosità e in abbondanza. Tutto è stato inviato a Garbagnate, dove la Caritas, da novembre, ha aperto l’Emporio della Solidarietà. Si tratta di un progetto che, al momento, aiuta 33 famiglie in disagio economico, residenti in tutte le parrocchie del decanato. Su indicazione dei Centri d’ascolto parrocchiali, i responsabili dell’Emporio, scelti tra gli operatori della Coop. Intrecci del Consorzio Caritas “Farsi prossimo”, secondo un regolamento stabilito, ammettono i nuclei familiari all’Emporio; qui, per un periodo minimo di sei mesi, essi possono “fare spesa” gratuitamente.

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domenica 19 febbraio 2017 (Giornata Diocesana della Solidarietà) la Caritas Cittadina di Bollate ha rilanciato il Fondo Famiglia Parrocchiale che ha consentito in questi quattro anni di aiutare numerose famiglie in difficoltà. Caritas propone, nel rilanciare il Fondo Parrocchiale, che raccoglie fondi per aiutare famiglie e persone in condizioni di grave disagio economico, un percorso di pratica delle Opere di Misericordia Spirituale, dopo aver sperimentato lo scorso anno quello dedicato alle Opere di Misericordia Corporale. Papa Francesco ebbe a dire nell’incontro con le Caritas Internazionali che esse sono nella Chiesa “ la carezza di Dio al suo popolo”, anche in questo affidandosi totalmente alla misericordia.

OPERE DI MISERICORDIA SPIRITUALE: CONSIGLIARE I DUBBIOSI
L’OPERA SPIRITUALE CHE AIUTA A ILLUMINARE LA MENTE, IL CUORE E LA VITA
Le Opere di Misericordia Spirituale, come quelle corporali, hanno il loro fondamento nella Sacra Scrittura e sono sparse qua e là nei testi e il loro riferimento è indice di un permanente atteggiamento, di uno stile, di un “habitus” richiesto al credente per vivere fin dall’intimo la sua relazione con Dio e con i fratelli. L’Opera Spirituale del “Consigliare i dubbiosi”, anche se la Caritas cittadina la propone come quarta nel nostro itinerario di educazione allo stile della carità cristiana, è tuttavia la prima nell’ordine che ci ha consegnato la tradizione della Chiesa. Perché questo primato e che cosa comporta?
Chi vive nel dubbio – di qualsiasi tipo si tratti – vive in uno stato di incertezza; è la condizione di chi è confuso, di chi non sa scegliere, di chi esita e rimane sospeso perché manca di una visione chiara e sicura e la sua vita rimane esposta ad ogni sorta di rischio. La vita del dubbioso, purtroppo, oscilla pericolosamente dalla paura all’angoscia, creando situazioni di vera sofferenza, giungendo persino alla mancanza di fede.  Aiutare noi stessi e i fratelli ad incamminarsi con la riflessione e il consiglio verso la certezza della verità e della fede è la più grande e la prima carità che possiamo compiere perché restituisce non solo speranza e serenità, ma consegna significato al vivere, una direzione certa e una forza interiore per affrontare con fiducia ogni situazione.
Chi di noi non ha mai dubitato e davanti alle questioni di fede non ha mai sperimentato la confusione e l’incertezza? Chi di noi non vive costantemente nel dover fare delle scelte e di non sapere bene cosa fare? O chi di noi qualche volta si è sentito anche fin troppo sicuro di sé per poi magari essere smentito? Penso a quanto sia grande il compito e la responsabilità dei genitori, dei nonni e degli educatori nel consigliare per far crescere bene i loro ragazzi e aiutarli ad avere capacità critica per saper scegliere e prendere le decisioni giuste. Penso a tutti noi cristiani che in nome della fraternità che ci lega abbiamo il compito di aiutarci a vicenda nel percorrere le strade della verità, della giustizia e della fede. Penso anche a chi, in nome della carità, vorrebbe dare un consiglio ma questo non è né richiesto né accolto con il rischio di abbandonare una vita al suo destino. Ogni mattina ci svegliamo con la necessità di affrontare il reale, separando ciò che faremo da ciò che non faremo; in ogni momento dobbiamo prendere delle decisioni e fare delle scelte, da quelle banali a quelle importanti; spesso ci dedichiamo esageratamente a scelte secondarie e ci distraiamo da quelle vitali. Abbiamo tutti bisogno di consigliarci a vicenda nel discernere ciò che è giusto ed è bene fare. Se andiamo con ordine, dobbiamo riconoscere il valore positivo del dubbio, perché esso ci dà la possibilità di interrogarci e quindi di metterci in ricerca: chi non ha dubbi e non si pone domande non si incammina mai verso Dio, e chi nella vita è troppo sicuro di sé vive una sorta di autoreferenzialità narcisista e di chiusura egoistica nei confronti degli altri. Il dubbio ha una sua validità e un suo spazio e merita in qualche modo di essere sostenuto perché ci stimoli a cogliere la verità e ad agire per il bene, abilitandoci alla scelta giusta. In estrema sintesi, il grande pensatore Pascal ci offre un interessante equilibrio da costruire: “Bisogna saper dubitare quando è necessario, affermare quando è necessario e sottomettersi quando è necessario”.  Il vero compito è sapere quando è “necessario”; per questo il consigliare richiede l’esercizio e l’arte del “discernimento”. Ma il consigliare il dubbioso affinché insieme si provi ad illuminare la mente, la verità prenda corpo e la volontà diventi capace di scegliere, non può assolutamente prescindere da un senso profondo di umiltà. Inoltre, l’esercizio di quest’opera di misericordia avviene solo sotto l’azione dello Spirito, che è l’unico che conosce l’animo dell’uomo e lo può dirigere secondo Dio. Come consigliare e come essere buoni consiglieri? Prima di tutto non dobbiamo dimenticare di fare questo lavoro di discernimento su noi stessi prima ancora di avere la pretesa di consigliare altri. Ma cosa vuol dire consigliare? Il termine latino significa “sedersi accanto a qualcuno”, “stargli accanto. Il dubbioso è spossato dall’ambiguità del reale e non riesce a distinguere fra ciò che è vero bene e ciò che è falso bene.
Occorre far leva non sui dubbi ma sulle certezze, non appoggiarsi su ciò che è ambiguo ma su ciò che è nitido e sicuro. E’ quanto mai necessario ricevere e dare fiducia. Se a noi stessi dicono e lo diciamo a nostra volta: “Dai, vedrai che ce la fai”, il risultato è la fiducia nel potercela fare, la riflessione sulle proprie qualità, e così emerge il meglio di sé. Per consigliare un dubbioso occorrono delicatezza, pazienza, tempo e amorevole ascolto. Bisogna farsi carico dell’altro, diventare solidale con lui, e – per paradossale che possa sembrare – dubitare e ricercare con lui. Non con l’arroganza di chi ha già raggiunto la verità, ma con la passione e il desiderio di ricercarla insieme, pur sapendo di aver ricevuto già in dono la certezza della fede. E poiché “la fede viene dall’ascolto” (Rm 10,17) è necessario che chi è chiamato a dare consiglio sappia far tesoro del silenzio e dell’ascolto dello Spirito e della Parola di Dio che è “luce ai nostri passi” (Sal 118). Non a caso tra i sette doni dello Spirito Santo c’è proprio il dono del consiglio, la capacità di scegliere secondo la sua luce, secondo il bene che Dio vuole per me. Per consigliare un dubbioso bisogna quindi primariamente ripartire dalla certezza dell’amore di Dio. Solo così le nostre parole entrano nell’intimo della mente e del cuore e chi le riceve si sente amato prima ancora che giudicato. Ancora una volta il consigliare è strettamente collegato alla capacità del discernimento spirituale. Discernere significa analizzare una determinata situazione e ritenere ciò che è buono, valido, autentico, vero. E’ la capacità di saper individuare e scegliere il bene proprio e degli altri, realizzando la volontà di Dio.  Si tratta di saper leggere una direzione nel presente e agire coerentemente con i principi dell’essere discepolo del Signore. Vuol dire maturare la propria libertà ricercando le motivazioni profonde delle proprie scelte e suscitare precise prese di responsabilità.
Implica imparare a leggere, vedere, interpretare la realtà così come farebbe Dio con la sua sensibilità.
Bisogna capire ciò che lo Spirito dice in ordine all’esistenza di una singola persona o di una comunità nella loro vita concreta, per rispondere adeguatamente alla volontà di Dio. L’autentico discernimento che conduce al consiglio è un fatto “spirituale”, in quanto compiuto “secondo lo Spirito” e in forza dello Spirito. E il vero consigliere è l’uomo spirituale che, secondo san Paolo, “giudica tutto” (2Cor 2), è colui che ha l’unzione del Santo e ha la giusta conoscenza delle cose. Infine, a ciascuno il compito di essere credibili e trasparenti tra il nostro dire (consigliare) e il nostro agire, se vogliamo veramente mettere in atto questa opera di misericordia spirituale.

OPERE DI MISERICORDIA SPIRITUALE – “PERDONARE LE OFFESE” – L’opera di misericordia spirituale che ci aiuta ad essere misericordiosi come il Padre celeste.
Per dare continuità e ricaduta concreta all’Anno Giubilare della Misericordia celebrato nel 2015-16, riprendiamo il cammino proposto dalla Caritas cittadina riflettendo sulle opere di Misericordia Spirituale e proponendo alcuni stili che ne derivano. Abbiamo bisogno, infatti, di riscoprire sempre di nuovo che il fare del cristiano – anche nell’esercizio della carità – è sempre un fare del cuore, un fare spirituale e quindi anzitutto un fare con “stile”. Le opere di misericordia spirituale sono vera strada di perfezione spirituale ma anche di crescita sociale e sviluppo culturale. Parlano sia ai credenti in Cristo che a tutti gli uomini di buona volontà!   Vorremmo questa volta considerare l’opera di misericordia spirituale del “perdonare le offese” che potremmo ritradurre e attualizzare, a partire dall’insegnamento stesso di Gesù a i suoi discepoli: cercare di essere misericordiosi come il Padre. E’ l’opera che richiama con maggior forza e concretezza le intenzioni dell’anno giubilare celebrato.  Ci aiuta anche il fatto che in questo tempo pasquale abbiamo da poco celebrato la “Domenica della Divina Misericordia”, che per volontà di san Giovanni Paolo II è collocata nel calendario liturgico proprio nella domenica successiva alla Pasqua.   Nelle tensioni che caratterizzano le nostre relazioni, nella fatica di costruire comunità di comunione, nelle continue contraddizioni che caratterizzano una società autoreferenziale e individualista, dove spesso saltano gli equilibri della verità e della giustizia, una cosa è certa: tutti abbiamo da perdonare e tutti abbiamo da chiedere perdono. Il perdono è di fatto decisivo e discriminante nella costruzione della famiglia e della società.     Tuttavia, la dinamica che porta al perdono è tutt’altro che semplicistica, non basta dirlo e si corre sempre il rischio della banalizzazione e dell’inflazione: sembra di moda dire “ho perdonato”, o all’apposto dire: “deve pagare fino all’ultimo”. Perdonare è difficilissimo, è il vertice di un lungo cammino. Non si improvvisa, nè mai si compie con superficialità. L’opera spirituale della misericordia, attraverso il perdono delle offese, mette a nudo la verità di noi stessi, capaci di male anche noi, chiede di fare verità nella nostra vita e riconoscere, di fatto che il perdono è propriamente l’atto più vicino al cuore di Dio, una grazia donataci dal suo amore che permette di vivere la relazione con Lui e quindi con il prossimo. Occorre riconoscere che è una capacità prodotta non solo dalla nostra buona volontà, ma viene dall’alto e che senza il perdono rimaniamo in balia, anzi schiavi, del male che alla fine blocca la nostra stessa vita in una spirale ossessiva e vendicativa. Il perdono non è un atto autonomo: viene da Dio e da Dio bisogna dunque ripartire. Il perdono parte dal misurare tutto nella luce del rapporto con Dio.        Ma cosa significa ripartire dalla necessità primaria di essere perdonati da Dio? E poi come fare? Come si compie quest’opera? Cosa è veramente questa opera? Innanzitutto, il cuore del perdono sta nella gratuità del dono di Dio che fa sorgere il suo sole sui giusti e sugli ingiusti, e che prima di perdonare agli altri ha già perdonato me. Non si può conquistare la bontà di Dio a forza di meriti: non c’è prezzo per pagare la bontà del Padre. Il gratuito è la base spirituale e teologica ma anche concreta della riconciliazione; il calcolo frena sempre il perdono, lo impedisce. Sono spinto invece ad essere migliore proprio per la forza di quest’amore gratuito, donato ogni giorno, oltre ogni mio merito; se questo dinamismo rende migliore me, se lo applico con gli altri ho la possibilità di vincere il male e di rendere migliori anche gli altri sottraendoli alla logica perversa dell’offesa che chiama offesa. E’ così che si riesce a perdonare: vivendo della generosità di Dio.       Se questo è il cuore del perdonare le offese, quali passi fare per riuscirci?
Occorre saper custodire il cuore luogo dei sentimenti e sede delle grandi scelte della vita. Occorre non sopravalutare noi stessi più di quanto conviene (Rm 12,3). Bisogna evitare la concezione meritocratica della vita che crea un Dio che seleziona, premia i migliori e scarta i poveracci. E’ necessario estirpare l’invidia e la gelosia che sono le vere piante del male che infettano le nostre comunità; imparare invece a vedere e riconoscere, dare visibilità e sostenere il bene anche minimo presente in persone e situazioni.   Le ferite vanno subito ripulite dalla sporcizia altrimenti fanno infezione; vanno contestualizzate e occorre cercare di andare oltre l’emotività stretta di quel momento, di offesa o di dolore o di sconcerto.   Forse per alcuni il passo più difficile è paradossalmente quello della preghiera: essa è la grande arma del perdono. Senza la preghiera, ovvero senza il cuore rivolto alla croce di Gesù, non è possibile pensare al perdono e alla riconciliazione.            Se questi sono solo alcuni, ma fondamentali passi, verso chi li dobbiamo rivolgere?
Dovremmo ovviamente rispondere verso tutti. Tuttavia possiamo indicare alcune categorie privilegiate. Pensiamo per esempio quanto sia importante perdonare le offese nell’ambito delle relazioni familiari; per non parlare poi della vita delle nostre comunità cristiane dove l’esercizio del “rimettere i debiti come sono a noi rimessi dal Padre” (Mt 6,12) sembra essere alquanto faticoso e l’esercizio della correzione fraterna spesso inaccettabile se rivolto alla nostra persona.     Anche la valenza sociale del perdonare le offese è immensa e benefica per la costruzione di una giustizia più umana.     Pensiamo al mondo del carcere. Il carcere va visitato di più; c’è bisogno di un crescente impegno di accoglienza, animazione e volontariato in questa realtà; un utilizzo saggio delle pene alternative per correggere e non vendicarsi. Infine perdonare le offese significa chiedersi, come società, se abbia ancora senso l’ergastolo.
A livello culturale, il perdono delle offese comporta una diversa riflessione sulla realtà della guerra. Già don Milani ci ha aiutato a rileggere la storia dalla parte dei vinti. E non dei vincitori, che ci fanno guardare con occhi di potere ogni scelta. Il perdono porta ben presto a uno stile di vita basato sulla non-violenza e sull’obiezione di coscienza: una prassi decisiva per lo sviluppo dell’umanità.     Il perdono delle offese in campo politico e sindacale dovrebbe portare ad assumere il criterio del “non lottare contro ma sempre lottare a favore”. Questo stile di fiducia, di dialogo, d’incontro, di stima tra maggioranza e minoranza, il parlar bene, il tendere tutti uniti alla convergenza e al Bene Comune…tutto questo è applicazione sociale dell’opera di misericordia del perdono.     Infine, c’è una nuova dimensione del perdono. E’ la custodia del creato. Spesso questo creato lo abbiamo violato, sporcato, inquinato. Ora tocca a noi sanare le ferite da noi stessi create.    In conclusione: perdonare le offese non è un’azione passiva, ma uno stile attivo. Deve tendere al cambiamento di chi ha offeso. Mai allora rifiutarci al perdono. Il perdono va concesso e accolto. Sempre! Il perdono vero è un cammino. E’ il cammino dei figli di Dio.

OPERE DI MISERICORDIA SPIRITUALE – SOPPORTARE PAZIENTEMENTE LE PERSONE MOLESTE…OVVERO ACCOGLIERE E VALORIZZARE L’ALTRO
Terzo appuntamento bimestrale proposto dalla Caritas Cittadina a vivere le Opere di Misericordia Spirituale. Ricordiamo che ci viene suggerito di dare continuità all’anno Giubilare della misericordia non solo con le Opere di Misericordia Corporale, che sono state al centro dello scorso anno, ma anche meditando su quelle spirituali che ci aiutano a migliorare il nostro rapporto con gli altri, disponibili ad andare in profondità, radicando il nostro agire caritativo in una sorta di esercizio amoroso ed autentico delle relazioni umane. Anche l’esercizio del “sopportare pazientemente le persone moleste” – anche in questo caso con una espressione un po’ antica e non del tutto gradevole per la nostra sensibilità moderna – non è di facile attuazione, soprattutto in una società e cultura fortemente caratterizzata dall’individualismo soggettivo per cui l’altro è un concorrente, non deve intralciarci o addirittura da non considerare affatto pur di affermare se stessi. Inoltre, tra gli atti di misericordia spirituale questo, forse, è tra i più difficili perché è l’unica opera delle sette spirituali che ha un avverbio – pazientemente – che indica durata, continuità, perseveranza. Si sa che tener duro per un certo tempo, ci si può riuscire. Ma non vogliamo essere ingenui: sopportare senza smettere la molestia, il fastidio, il disturbo, l’interruzione, l’esasperazione, è davvero difficile e nemmeno accettabile, soprattutto quanto ricorrono situazioni al limite della legalità e del disprezzo della dignità della persona come nei casi di “stalking” o di “mobbing” in particolare negli ambienti di lavoro. Senza tuttavia entrare in queste questioni estreme, dobbiamo però riconoscere la sorprendente normalità che a tutti noi anche le persone più familiari e vicine ci risultino a volte moleste. Mai come oggi la presenza dell’altro ci inquieta, ci rende sospettosi, ci urta. Può succedere che non sia l’altro a essere un molesto per me, bensì l’ospite inquietante dentro di me che me lo fa sentire tale. Bisogna almeno essere consapevoli di questo scenario esterno e interno a noi. Noi però vogliamo affrontare l’argomento in termini positivi e quindi riflettere e raccogliere qualche suggerimento per vivere l’esercizio di quest’opera di misericordia spirituale. Anzitutto la parola sopportare viene da sub-portare (supportare), sostenere, incoraggiare, quasi portare sulla mano. Si tratta quindi di andare incontro alla persona e di mettersi nell’atteggiamento dell’accoglienza, dell’ascolto, dello stare dalla sua parte, della stima e quindi del sostegno. E’ ovvio che questo va fatto reciprocamente. Il cristiano è chiamato, come imitatore di Dio, a portare anch’egli sopra di sé il peso dei fratelli; “vi esorto a sopportarvi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità per mezzo del vincolo della pace” (Ef 4,1-3), “sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro” (Col 3,13). “Su-pportazione” e perdono sono qui principi della vita comunitaria cristiana. L’altra parola che accompagna quest’opera è “pazienza” alla cui radice c’è il patire, la capacità di saper soffrire. Il Nuovo Testamento usa un altro termine più complesso: “magnanimità” che vuol dire grandezza d’animo che vuol dire capacità di mansuetudine, calma, pazienza, tolleranza, generosità, nobiltà. Dunque nella relazione con l’altro la sopportazione paziente o magnanima è la capacità di dare all’altro il tempo, lo spazio, la possibilità, la stima che egli merita comunque. La grandezza d’animo arriva fino al punto di dare al prossimo la possibilità di pentirsi, di ravvedersi, di tornare in se stesso, a ritrovare il meglio di se stesso, magari proprio attraverso la nostra paziente accoglienza. La radice di tutto questo e la premessa necessaria per sopportare pazientemente le persone moleste è il perdono, il perdono di Dio. Il bisogno quotidiano di perdono da parte di Dio e la sua magnanimità nel concederlo stabiliscono un nuovo rapporto con i fratelli. Siamo pazienti verso il prossimo quando abbiamo ben presente tutto quello che Dio ci perdona, tutta la pazienza che Dio esercita ne nostri riguardi ancor prima che negli altri. Il punto di partenza è proprio la consapevolezza che io per primo sono “compreso”, “accettato” così come sono e perdonato da Dio. Questa consapevolezza mi porta da usare lo stesso stile, la stessa misura con gli altri. In famiglia con i colleghi di lavoro o di studio, nelle relazioni con gli amici, nei rapporti all’interno dei gruppi o della comunità solo questa capacità di valorizzazione dell’altro così com’è, ma desiderosi di renderlo migliore, potrà essere condizione per creare rapporti belli e costruttivi. Questo stile non si deve confondere con la “tolleranza”; essa non è ancora un atteggiamento di amore. Non si tratta nemmeno di “buonismo”: bontà e verità è entrare in relazione, sporcarsi le mani, non restare impassibili. Lo stile del sopportare pazientemente non è nemmeno “servilismo”: deboli con i forti, e forti con i deboli. Vogliamo osare un ultimo suggerimento, anche se forse un po’ azzardato. Le persone che mi danno fastidio, quelle che telefonano nel momento sbagliato, quelle che mandano all’aria le situazioni, quelle che contraddicono, quelle che mettono il bastone fra le ruote, sono quelle che costringono a passare dalla mia ingiustizia al piano di Dio, al mettermi in verifica per fare non la mia, ma la giustizia di Dio. Deve sorgere in noi un santo dubbio: e se Dio si servisse di questa persona? E se Dio, per interrompere il piano della nostra vita, che è il nostro e non il suo, si servisse proprio delle persone che ci intralciano per farci smettere di andare al nostro ritmo e andare invece al suo? Si tratta si fare un’opera curiosa, trasformare le persone che sono moleste e basta, in emissari di Dio, in persone che Dio ci manda, che Lui permette che arrivino nella nostra vita, affinché noi abbiamo a convertirci. E abbiamo sempre bisogno di convertirci.

OPERE DI MISERICORDIA SPIRITUALE – INSEGNARE A CHI NON SA
“Insegnare a chi non sa” (educare ai valori umani e cristiani) significa trasmettere l’amore e la misericordia di Dio. Impegniamoci nelle relazioni superando la banalità e il pettegolezzo. Utilizziamo i social network con prudenza, non facciamo circolare la menzogna. Insegnare a chi non sa, implica l’opera di una Comunità Educante che diffonda la cultura cristiana non come proselitismo ma con lo stile di un dialogo sulla verità. Nella vita di ogni giorno, ciascuno partecipi e inviti altri a partecipare alla vita, alle iniziative ed ai percorsi formativi offerti dalla Parrocchia.

insegnare a chi non sa

OPERE DI MISERICORDIA SPIRITUALE – AMMONIRE I PECCATORI

ammonire i peccatori

La Caritas Bollatese propone un percorso di pratica delle Opere di Misericordia Spirituale, dopo aver sperimentato lo scorso anno quello dedicato alle Opere di Misericordia Corporale. Il primo input educativo legato all’opera di Misericordia Spirituale è “Ammonire i Peccatori (correggersi fraternamente)”. Ciascuno è invitato, facendo proprie le opere di misericordia, a rendere il proprio cuore aperto a fare del bene al prossimo ed in particolare al prossimo più bisognoso. Contestualmente al percorso sulle Opere di Misericordia Spirituale, la Caritas Cittadina rilancia il Fondo Parrocchiale, che raccoglie fondi per aiutare famiglie e persone in condizioni di grave disagio economico.

GIUBILEO DELLA MISERICORDIA – OPERE DI MISERICORDIA CORPORALE(anno 2016)

VIVERE LE OPERE DI MISERICORDIA: “DAR DA MANGIARE AGLI AFFAMATI”

Ogni giorno, nel mondo, ancora troppe persone non hanno il “pane quotidiano” o addirittura muoiono di fame! La fame è sorella della povertà e la povertà figlia dell’ingiustizia. Nella famiglia umana c’è chi ha troppo e chi non ha nulla, o manca comunque del necessario. La permanenza della fame nel mondo dice che non è sufficiente un gesto occasionale di aiuto. Esso deve trasformarsi in costume di vita e portarci a verificare lo stile dei nostri consumi evitando gli sprechi e anche tutto ciò che è superfluo. Praticare la solidarietà, la condivisione e la comunione con gli altri ci aiuterà a capire meglio che cos’è la misericordia e a viverla. La misericordia di Gesù, infatti, alla quale facciamo riferimento nella fede, è condivisione della vita dell’uomo, anche in ogni necessità materiale. Se non possiamo replicare il miracolo della moltiplicazione dei pani, possiamo seguire l’invito di Gesù agli Apostoli: “date voi da mangiare a loro”, sostenendo i gruppi di volontariato che operano all’interno del Centro di Ascolto Caritas e che settimanalmente aiutano le persone che non hanno il necessario per nutrirsi. Ecco perché in questa fase del progetto “fa’ volare la speranza” la Caritas ci invita a vivere quest’opera di misericordia attraverso la donazione di alimenti (appositi contenitori saranno collocati presso gli altari nelle varie chiese) o di offerte destinate all’acquisto di buoni spesa e buoni pasto. Per chi volesse donare alimenti, si segnala la necessità di caffè, olio, pasta, pelati, tonno.

“DAR DA BERE AGLI ASSETATI”

Ogni giorno, nel mondo, ancora troppe persone non hanno il “pane quotidiano” o addirittura muoiono di fame! La fame è sorella della povertà e la povertà figlia dell’ingiustizia. Nella famiglia umana c’è chi ha troppo e chi non ha nulla, o manca comunque del necessario. La permanenza della fame nel mondo dice che non è sufficiente un gesto occasionale di aiuto. Esso deve trasformarsi in costume di vita e portarci a verificare lo stile dei nostri consumi evitando gli sprechi e anche tutto ciò che è superfluo. Praticare la solidarietà, la condivisione e la comunione con gli altri ci aiuterà a capire meglio che cos’è la misericordia e a viverla. La misericordia di Gesù, infatti, alla quale facciamo riferimento nella fede, è condivisione della vita dell’uomo, anche in ogni necessità materiale. Se non possiamo replicare il miracolo della moltiplicazione dei pani, possiamo seguire l’invito di Gesù agli Apostoli: “date voi da mangiare a loro”, sostenendo i gruppi di volontariato che operano all’interno del Centro di Ascolto Caritas e che settimanalmente aiutano le persone che non hanno il necessario per nutrirsi. Ecco perché in questa fase del progetto “fa’ volare la speranza” la Caritas ci invita a vivere quest’opera di misericordia attraverso la donazione di alimenti (appositi contenitori saranno collocati presso gli altari nelle varie chiese) o di offerte destinate all’acquisto di buoni spesa e buoni pasto. Per chi volesse donare alimenti, si segnala la necessità di caffè, olio, pasta, pelati, tonno.L’acqua è un bene che a noi sembra scontato ed è probabile che molti abitanti del nosto emisfero terrestre non sappiano che ogni minuto nel modo muoiono quattro bambini per mancanza di acqua e che più di un miliardo di persone non ha accesso all’acqua potabile. La realtà è che l’acqua sta diventando un bene prezioso tanto che si è creato un business attorno al quale muovono grossi interessi economici ed è possibile che, in futuro, divenga causa di conflitti armati. Allora, oggi, cosa significa questa opera di misericordia? Dal punto di vista culturale, occorre recepire la dimensione sociale e politica mondiale della crisi idrica e attivare in noi la consapevolezza che nessuno può restare escluso dalla risorse naturali della terra che, per principio, sono di tutti… “Del Signore è la terra e quanto contiene” (Salmo 24,1). NEL CONCRETO, ciascuno di noi si impegni ad usare l’acqua senza sprecarla, attraverso comportamenti responsabili e virtuosi e, in questo secondo periodo di realizzazione del progetto “FA VOLARE LA SPERANZA”,contribuisca con offerte al fabbisogno di LATTE (ANCHE PER NEONATI) del nostro Centro di Ascolto. che vede impegnate alcune associazioni nello scavo di pozzi per incrementare l’accesso all’acqua potabile di alcune popolazioni rurali dell’africa Centrale, migliorando così le loro condizioni di vita e salute.

“VISITARE GLI INFERMI”

Tra le sette opere di misericordia corporale, “visitare gli infermi” assume un rilievo tutto particolare. Il momento di farsi prossimo a chi soffre rappresenta un modo profondo ed emblematico di avvicinarsi, con espressione di Papa Francesco, alla carne viva e dolente di Gesù. Chi non ha occasione di vivere questa esperienza direttamente ha la possibilità di collaborare con l’UNITALSI e “PeRMANo”, due gruppi di volontariato che svolgono la loro opera a favore di malati e anziani, contribuendo con le offerte.

“VISITARE I CARCERATI”
Per i mesi di ottobre e novembre, tutta la Comunità è invitata a vivere il quinto input educativo delle opere di misericordia: “Visitare i carcerati”. Un’ opera che sembra difficile da realizzare nel concreto. Ma il Vangelo non fa sconti: “Ero carcerato e siete venuti a trovarmi” dice il cap. 25, v. 36 del Vangelo di Matteo, riferendosi al giudizio finale che toccherà ad ogni uomo. Gesù dice: il progetto di Dio sul mondo e su ogni uomo è la gioia di ritrovare chiunque sia perso, senza distinzioni. Nel concreto, attraverso i volontari che operano in carcere, possiamo aiutare i detenuti che spesso mancano del necessario: indumenti e biancheria personale e altro. In questo quinto periodo di realizzazione del progetto “FA’ VOLARE LA SPERANZA”, la Caritas ci invita alla donazione di offerte destinate all’acquisto di quanto necessario a favorire, nell’ordinario quotidiano, la vita di chi è detenuto.

“ALLOGGIARE I PELLEGRINI”

“Alloggiare i pellegrini” è opera di misericordia perché considera l’ospitalità come apertura (di porte materiali, di cuore, di mentalità), come accoglienza dell’altro, come condivisione. Caritas, all’interno del progetto “Fa’ volare la speranza”, invita a donare offerte per la sistemazione di alloggi della parrocchia da destinare a situazioni di emergenza abitativa. “Ero forestiero e mi avete ospitato”: Matteo, 25,35

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  • Progetto FA’ VOLARE LA SPERANZA: lo scopo è quello di coinvolgere la comunità per tutto il prossimo anno e quindi “Una sola famiglia umana, cibo per tutti: è compito nostro” .

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PERCHE’ UNA CARITAS DELLA CITTA’
– perché si crede nel valore della pastorale d’insieme come concreta attuazione della carità
– perché si ha bisogno di fantasia organizzativa e si pensa che insieme sia più facile strutturare il servizio della carità e trovare nuove idee per la pastorale
– perché si ritiene più razionale, in considerazione delle limitate risorse umane a disposizione, un’organizzazione in cui centralizzare la programmazione ma non il servizio della carità che deve comunque rimanere il più capillare possibile
– perché si pensa che con questa organizzazione sia più facile entrare in rapporto con enti, gruppi, associazioni presenti sul territorio per attivare collaborazioni e interventi sui bisogni
– perché si ritiene che sia il modo migliore per stare al passo con i cambiamenti, alcuni già in atto, che porteranno la nostra Chiesa di Bollate a organizzarsi in futuro come unica comunità pastorale.

FUNZIONI
– sensibilizzare e educare gli operatori e la comunità alla pratica della carità, proponendo iniziative e individuando percorsi formativi in sintonia con i parroci e i Consigli Pastorali;
– coordinare i vari gruppi caritativi favorendo la circolazione delle notizie per evitare sovrapposizioni nelle numerose iniziative e fare in modo che la comunità le percepisca come parte integrante di un unico progetto;
– leggere il territorio individuando problematiche e bisogni legati agli ambiti caritativo e sociale;
– stimolare e favorire la pastorale d’insieme;
– favorire il collegamento con i servizi sociali del territorio;
– ricercare e mantenere un rapporto con enti, gruppi, associazioni presenti sul territorio per attivare collaborazioni e interventi sui bisogni
– mantenere le relazioni con le Caritas di Baranzate per studiare iniziative a livello intercittadino.

ATTIVITÀ’ OPERATIVA
Per sviluppare e concretizzare la sua attività sul territorio la Caritas si avvarrà delle competenze specifiche e dell’impegno operativo di altre realtà presenti in parrocchia (CdA, commissioni catechetica e liturgica)

AMBITI E TEMPI OPERATIVI
per tutto l’anno, in particolare:
– “Tempi Forti” (Avvento e Quaresima)
– Giornata Diocesana Caritas
– Gennaio, mese della pace
– Quattro giornate (Festa della famiglia, Giornata per la vita, Giornata mondiale del malato, Giornata diocesana della solidarietà)
– Raccolta Diocesana indumenti usati
– Pentecoste
– Ricorrenze e iniziative particolari legate ai vari gruppi.

CARITAS cittadina  :
– responsabile: il Prevosto, don Maurizio Pessina
– referente laico: Giuseppe Dusi