Le più antiche testimonianze epigrafiche
sul cristianesimo in territorio milanese risalgono al secolo V e le prime
pievi, secondo il parere del Palestra
1, videro la luce
intorno alla metà dello stesso secolo. Il primo luogo di culto cristiano in
Bollate sorse presumibilmente sullo stesso terreno dell’attuale chiesa
Prepositurale dedicata a S. Martino, e la cristianizzazione del territorio
bollatese, e di quelli circostanti, fu dovuta soprattutto alla regina
Teodolinda, moglie di Autari, re dei Longobardi: la regina, infatti, fondò
numerose chiese e, curando i rapporti tra il clero e le autorità civili,
in stretto contatto con il papa Gregorio Magno, si dedicò tenacemente alla
diffusione del cristianesimo in area padana, ragion per cui è probabile
ritenere che gli echi della sua opera di evangelizzazione giunsero anche
fino al bollatese. |
1 A.PALESTRA, L’origine e
l’ordinamento della pieve in Lombardia, in Archivio Storico Lombardo,
1963 |
Giuseppe Moreno Vazzoler nel suo libro
intitolato Cassina Nuova di Bollate, note di storia locale 2 riporta le parole di
Mons. Palestra, che riguardo a Bollate scrive: “Per la dedicazione della
chiesa pievana a S. Martino, s’osserva che il culto al santo vescovo di
Tours si trova già testimoniato nel sec. VIII durante l’ultimo periodo
della dominazione longobarda ma che si sviluppa gradatamente nei secoli
seguenti sotto l’influsso dei Franchi. La pieve di Bollate deve essere
sorta tardi, forse dopo la fondazione della confinante pieve di Desio e a
spese della pieve di Bruzzano”3.
La pieve di Bollate dunque, come sostiene
anche il Gianola4 , sorgerebbe nei secoli VIII- X a seguito della diffusione
del culto del santo titolare della sua chiesa, ma non tutti gli studiosi
concordano nel riferire a tale periodo lo sviluppo e la titolatio di
chiese pievane della diocesi di Milano a S. Martino.
Del santo e martire vescovo di Tours
(nato nel 316/317 a Sabaria e morto a Candes nel 397), così scrive lo
storico Jacques Lalache 5: “Vorrebbero alcuni studiosi che il culto di S. Martino non
sia sorto subito dopo la sua morte, bensì verso il VI secolo, allorchè una
biografia curata da Sulpicio Severo, suo contemporaneo ed amico,
incominciò a diffondersi per il mondo allora conosciuto; ma delle scoperte
archeologiche recenti fanno giustizia di queste opinioni ritenute
addirittura tendenziose […] si cominciò a celebrare l’anniversario della
morte, o meglio dei funerali, l’11 novembre, e ciò nello stesso anno
successivo alla sua morte, ed egli venne onorato come un vero santo sin
dal giorno in cui sulla sua tomba fu elevato un santuario”. Si potrebbe
quindi, secondo il Lalache, far risalire il culto al santo subito dopo la
sua morte, ma ciò non aiuta comunque a datare con esattezza il sorgere
della pieve di Bollate, che rimane tuttora cronologicamente senza una
precisa collocazione, anche se la tradizione popolare vorrebbe far
risalire le sue origini a tempi antichissimi. Vecchie leggende raccontano
addirittura che lo stesso S. Martino fosse passato da Bollate e vi avesse
soggiornato, ma in realtà non esiste alcuna prova che supporti la
veridicità di queste
ipotesi.
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2 G.M.VAZZOLER,
Cassina Nuova di Bollate, note di storia locale, Milano, 1984 –
pag.34
3 A. PALESTRA,
Monumenta Italiae Ecclesiastica, Visitationes,
2
º, pag.2654 C. GIANOLA, I comuni e le parrocchie della pieve di
Bollate, memorie civili e religiose, Saronno, 1900
5 J. LALACHE,
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Sarebbe poi diplomaticamente da
verificare, come sostiene il Vazzoler, una pergamena del 1652 conservata
nell’archivio Plebano, che fa riferimento all’istituzione da parte di papa
Gelasio nel 483, del pagamento di decime alla pieve di Bollate. Scrive don
Gianola a questo proposito 6: “Da una pergamena dell’archivio plebano, consta che certo
Francesco Borrone di Pinzano venne nel 1625 scomunicato per avere ricusato
di pagare ai canonici la decima che papa Gelasio, sin dal 483, aveva
concesso al vescovo Teodoro de’ Medici a favore di questa pieve”. Ad
inquinare tale fonte contribuirebbero comunque anche delle inesattezze
cronologiche su papa Gelasio I e il vescovo Teodoro.
Tutto ciò non consente quindi di
stabilire un termine ad quem per la nascita della pieve, ma è opinione
comune da parte degli storici fin qui presi in considerazione che il suo
sviluppo e le sue vicende siano stati legati a quelli della vicina città
di Milano, di cui nel corso dei secoli condivise le sorti e ne subì i
riflessi: seguiremo dunque di pari passo le vicende di Milano e quelle
della nostra pieve.
Lungo il corso dei secoli IV e V, Milano e i territori limitrofi furono
devastati dalla furia delle invasioni barbariche e solo con il goto
Teodorico, dopo il 493, la città ritrovò una relativa tranquillità, rotta
però già nel 537, quando la popolazione milanese, ribellandosi al giogo
goto, chiese aiuto ai bizantini: la guerra che ne seguì durò quasi un
ventennio e fu caratterizzata da carestie, stragi, pestilenze.
Nel 553 ebbe inizio la dominazione bizantina, ma pochi anni dopo, nel
569, una nuova invasione interessò la Pianura Padana allorchè i longobardi
entrarono in Milano.
Essi, che inizialmente avevano abbracciato il cristianesimo nella forma
ariana, si impadronirono di buona parte delle chiese locali e si
accamparono per lo più nella periferia milanese e nei piccoli centri: a
testimonianza di questi antichi insediamenti rimangono i toponimi,
numerosi in Lombardia, che si riconducono ai nomi di fara e
arimannia.
Col trascorrere del tempo anche i longobardi, per merito soprattutto
della già ricordata regina Teodolinda, si convertirono alla religione
cristiana.
Le vicende storiche che seguirono quel periodo sono piuttosto note: nel
774 il re franco Carlo Magno sconfisse a Verona il re longobardo Desiderio
e suo figlio Adelchi, dando inizio al regno franco in Italia.
Nel generale disordine creato dal rapido avvicendarsi di dominazioni
diverse, e ancor prima, quando la compattezza e la stabilità dell’impero
romano cominciarono a vacillare, minate nell’ordinamento istituzionale
dalle invasioni barbariche e nell’ ideologia dalla diffusione del
messaggio cristiano, la figura del vescovo diocesano diventò punto di
riferimento nel vuoto di potere che si era creato nelle città e acquistò
sempre più importanza, diventando il vertice del governo religioso ed
economico, ricoprendo anche funzioni civili.
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6 C. GIANOLA, I
comuni e le parrocchie della pieve di Bollate,
pag.36 |
Egli era l’amministratore unico dei molti
beni di cui la chiesa episcopale diveniva proprietaria – per concessione
dello Stato e dei fedeli- estendendo il suo territorio fino alle campagne,
dove l’organizzazione ecclesiastico-amministrativa periferica andava
articolandosi nel sistema per pievi7.
Le pievi, come fu anche la nostra di
Bollate, non erano altro che le minori circoscrizioni della chiesa
episcopale, dunque soggette ad essa e al vescovo ordinario della diocesi,
che ne era di fatto il proprietario e che deteneva ampi poteri anche sul
piano civile.
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7 M. ASCHERI, Istituzioni
medievali, Urbino 1994, pp.44-45
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E’ proprio durante il regno franco di
Carlo Magno che queste funzioni vescovili vanno accentuandosi , creando la
figura del vescovo-conte, nella cui persona si accentravano il potere
ecclesiastico , civile e a volte anche militare. In particolare la diocesi
milanese , seconda solo a Roma, venne ad occupare un territorio molto più
vasto di quello attualmente esistente e il suo vescovo ebbe una posizione
di prevalenza su tutti i conti italiani , tanto da poter essere
considerato il più grande feudatario del regno8 . Va da sé che
questa particolare condizione feudale dell’ordinario diocesano fosse in netto contrasto con la
vera natura del suo ufficio e
non poté comportare altro che un decadimento della spiritualità
dell’episcopato: è il già ricordato periodo delle alienazioni delle pievi
ai laici, che il Violante individua come la prima delle tre fasi della
storia dell’istituzione plebana.
Accanto al centro urbano di Milano si era
ormai saldamente formato tutto il sistema socio-urbanistico periferico e i
borghi di una certa entità erano quasi sempre sedi di pievi : questa
osservazione val bene a dimostrare come anche il centro rurale di Bollate,
in quanto sede di pieve, fosse stato già nei secoli IX-X degno di
considerazione.
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8 G.M.VAZZOLER, Cassina Nuova
di Bollate, pp. 39 e seg.
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Un ulteriore fenomeno socio-urbanistico ,
tipicamente post-carolingio, è l’affermarsi nelle circoscrizioni plebane
delle capsinae o cascine9 , massicciamente
presenti anche nel territorio della nostra pieve, tuttora costellato di
tali realtà , testimoniate persino nell’etimo di due delle attuali
frazioni di Bollate: Cassina Nuova e Cascina del Sole.
Forse l’origine di tali capsinae è
da ricercarsi nelle villae rurali di grandi proprietari terrieri
romani , ma compaiono stabilmente in questi territori solo in epoca post
comunale come nuclei residenziali-rurali , composti da un certo numero di
famiglie adibite al lavoro dei campi, e strettamente dipendenti, sia sul
piano civile che sul piano religioso, dal villaggio vero e
proprio.
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9 Ibidem,
pag.41
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Oltre che nella denominazione delle due
frazioni , la presenza delle cascine o corti è testimoniata un po’ in
tutto il territorio bollatese fin dai tempi più antichi: tra le più
importanti sono da ricordare la Cascina delle Monache, così chiamata
perché ” in tempi assai remoti vi sorgeva un piccolo Convento di Religiose
e l’aspetto delle case conserva ancora qualche traccia claustrale 10” , la Cascina
Maria, la Corte Grande e la Corte Fabbro in quel della frazione di
Castellazzo.
Di Bollate, il cui nome deriverebbe da
beola, cioè betulla, o bula, pozza d’acqua, acquitrino, il
Vazzoler ci informa di alcune citazioni, le prime riguardanti questo
territorio, tratte dal Codex Diplomaticus Langobardiae : “Un atto
privato del 926 ci documenta una vendita di terreno, ed esattamente sette
pertiche di vigneto, cinquantasette pertiche di campo ed otto pertiche di
prato in località Lampugnano di Bollate, per il corrispettivo di quattro
soldi e due denari. Ancora in Bollate nel 994 vengono vendute quarantatre
pertiche di campo e dieci pertiche di prato per ben cento soldi”.11
In questo periodo, il contado milanese,
diviso in piccoli feudi i cui spazi territoriali si conformavano a quelli
delle pievi, raggiunse un suo assetto organizzativo più stabile,
condizione che, assieme al declino della potenza arcivescovile, ormai
troppo invischiata nell’ordinamento feudale, predispose le basi per il
futuro assetto comunale.
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10 C. GIANOLA, I comuni e le
parrocchie…, pag.29
11 G.M. VAZZOLER, Storia di
Cassina Nuova, pag.
43
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Dopo l’anno 1000 la pieve di Bollate,
come quelle confinanti, risultava avere una fisionomia precisa, sia sul
piano amministrativo che su quello religioso. ” La pieve cominciava ad
assumere la fisionomia di una federazione di loci e il culto
rimaneva soltanto una delle tante funzioni delle piccole comunità locali,
come era stato fin dai primi tempi nel pagus e nel vicus”
12. I villaggi
sottoposti alla pieve avevano precisi obblighi e diritti, sia di natura
ecclesiastica e religiosa , sia commerciale e mercantizia, per cui
dipendevano totalmente dal caput plebis.
In questi anni, dunque, la nostra pieve
era ormai ben affermata e continuava ad acquistare terreni : a conferma di
ciò, nel fondo pergamene dell’archivio plebano , è conservato un
importante atto del settembre 1039, in cui “un certo Bezo, presbitero
della chiesa e della pieve di S. Martino, situata nel ‘ vico Bolate’ dona
alla medesima un campo di quattro pertiche situato nel ‘vico et fundo
Carbaniate’. Nel documento si rileva l’esistenza di un castro in Bollate e
di alcuni canonici presso la basilica plebana di S. Martino in Bollate”
13 . Il
documento, il più antico conservato nel nostro territorio, rappresenta il
primo squarcio preciso sul passato di Bollate: si può scorgere una pieve
ben solida e organica , retta da un archipresbytero,
successivamente definito prevosto, a cui spettava la cura animarum
aiutato dai canonici, diaconi e suddiaconi e che sovente regolava anche
gli aspetti della vita contadina.
La pieve di Bollate apparteneva in quel
periodo al Contado della Martesana i cui confini comprendevano una vasta
regione a nord, nord-est di Milano. La più antica menzione di tale
contado, costituito dalle pievi di Bollate, Desio, Seveso, Alliate,
Bruzzano, Mariano, Cantù, Incino, Asso, Trezzo, Gorgonzola, Vimercate,
Corneliano, Settala e Segrate, ricorre in un documento del 931 14 e sappiamo che tale
contado ebbe parte attiva nelle rivolte dei valvassori a Milano prima, e
nelle lotte fra l’Impero e i nascenti comuni rurali, poi.
Nel 1036, al tempo dell’arcivescovo
Ariberto d’Intimiano, uno fra i più influenti feudatari d’Italia, i
bollatesi, con il resto della Martesana e dei contadi di Lodi e del
Seprio, combatterono in aiuto dei valvassori milanesi, che rivendicavano
anche per sé, come per i capitanei della città, l’ereditarietà dei
feudi e che si erano rivoltati ad Ariberto con il pretesto di una sua
revoca di un beneficio subita da uno di essi. I disordini di quel periodo
terminarono con la costituzione emanata dall’imperatore Corrado II nel
1037, che riconosceva di fatto l’ereditarietà dei feudi anche ai
valvassori.
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12 A. CAPPELLINI, Desio e la
sua pieve, Desio 1972, pag. 64
13 G.M. VAZZOLER, Storia di
Cassina Nuova, pag. 46
14 L. DE CESARE, Bollate. Un
territorio e la sua storia, Bollate
1985
|
Con il secolo XII, Bollate, come gli
altri villaggi e borghi circostanti, si rese autonomo comune rurale,
dotato di una certa indipendenza socio-amministrativa le cui figure
rappresentative erano costituite dal decano ( poi console), dal massaro e
dal saltaro, ognuno responsabile di una parte del potere sociale e
amministrativo15 .
Anche Milano, prima fra tutti, si
riconobbe comune autonomo e, all’avvento dell’imperatore Federico I, che
ambiva a ripristinare l’antica autorità imperiale in questi territori, fu
alla testa delle nuove realtà locali, che, desiderose di salvaguardare la
propria indipendenza, furono protagoniste dei tragici scontri fra impero e
comuni. Anche Bollate consegnò alla storia il suo obolo: un certo Ambrogio
da Bollate, ricordato anche nella cronaca del Giulini16 , venne ucciso nel
1161 presso Porta Vercellina, mentre combatteva alla guida di una
compagnia di soldati per la difesa di Milano, assediata dalle truppe del
Barbarossa.
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15 G. M. VAZZOLER, Cassina
Nuova di Bollate, pag. 49
16 G. GIULINI, Memorie
spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione della città e
campagne di Milano ne’ secoli bassi, Milano
1857
|
Il borgo rimase sempre fedele al suo
capoluogo, sia nel momento della sua distruzione ad opera degli eserciti
imperiali nel 1162, che in quello della riconquistata libertà con la pace
di Costanza nel 1183, tanto che fra i consoli di Milano si ricorda, nel
1175, un Albertino da Bollate. 17
.
Proprio di questo periodo è un’altra
pergamena, forse la più importante fra quelle conservate nell’archivio
della Pieve, la quale, datata 1168, ci descrive il borgo di Bollate cinto
da mura e munito di due castelli, l’uno situato sul torrente (il Pudiga)
che attraversava l’abitato, detto ‘de flumine’, l’altro detto
‘de medio’ 18 , che pare fosse eretto nel tuttora esistente ‘Vicolo dei
Romani’ e che probabilmente dovette essere costruito sulla base
dell’antico castrum 19 .
La contrada dei Romani (forse l’antico
centro di Romanino20 ) è considerata infatti il possibile nucleo antico, pre
medievale di Bollate, e una tradizione orale locale, ancor oggi corrente,
vorrebbe che vi avesse soggiornato lo stesso Barbarossa. Se non vi è
certezza sull’attendibilità di tale notizia , è però accertata da attenti
sopralluoghi, la presenza, negli scantinati di alcuni edifici situati in
tale contrada di “resti di manufatti di una certa rilevanza, in parte
fondazioni, con certezza risalenti all’epoca medievale che stiamo
trattando”21 .
E’ dunque, quello del 1168, un documento
di particolare importanza, perché riesce a fornirci preziosissimi passi
descrittivi di quel che doveva essere il territorio di Bollate all’epoca.
Si tratta di un atto privato, riguardante una permuta di beni fatta dal
prevosto di Bollate con un certo Negro e sotto il profilo paleografico
risulta essere molto interessante: vergato a sanguigna, scritto in un
latino già impuro e intaccato dal volgare, sbiadito dal tempo.
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17 E. CESATI, Monografia
di Bollate in Bollate Cattolica, Bollate 196418 G. M.VAZZOLER,
Cassina Nuova di Bollate, pag. 50
19 L. DE CESARE,
Bollate.Un territorio e la sua storia, pag.25
20 Sembra che Bollate
fino al termine dell’età medievale sia stata composta dai centri di
Romanino, Solariolo e Salvano.
21 L. DE CESARE,
Bollate.Un territorio e la sua storia, pag
28 |
La pieve nel contempo si arricchiva di
nuove proprietà dovute a lasciti e donazioni22 e un documento del
1211 23 attesta
che i canonici della collegiata di Bollate riscuotevano già da tempo le
decime su prodotti agricoli quali frumento, orzo, segale, avena, fave,
vino, miele, lenticchie, raccolti in terreni situati a Garbagnate, Senago
, Pinzano, Traversagna.
Nel secolo XIII la nostra pieve
comprendeva le località di Affori, Baranzate, Cesate, Garbagnate, Novate,
Pinzano, S. Maria Rossa, Senago con Senaghino, Villapizzone e Vialba24 , località presso
le cui chiese e cappelle svolgevano le mansioni liturgiche i canonici di
S. Martino.
Tra i canonici che in quello scorcio di
secolo componevano il capitolo della collegiata di Bollate, vi era anche
Rinaldo da Concorezzo, della nobile famiglia dei Concoregii di Milano, poi
vescovo di Vicenza, indi arcivescovo di Ravenna, morto nel 1321 e in
seguito elevato agli onori degli altari25 e chiamato dagli
agiografi “San Rainaldo”. Presente a Bollate dal 1286, divenne celebre per
le profonde conoscenze in materia di giurisprudenza e teologia , tanto che
il sommo Dante Alighieri, durante il suo esilio ravennate, si avvalse
dell’amicizia e probabilmente della collaborazione dell’arcivescovo in
materia teologica per completare la stesura dell’ultima cantica della
Divina Commedia26 . Tuttora, nell’attuale chiesa dedicata a S. Martino è
venerata una preziosa reliquia del santo, inviata nel 1908
dall’arcivescovo di Ravenna all’allora prevosto don L. Donadeo.
Altri illustri bollatesi sono menzionati
dal Gianola 27 :
“…Rogerio (1200) console di giustizia; la famiglia Graselis de Bollate
et de Treno, che era fra le privilegiate da cui si sceglievano gli
Ordinarii della Metropolitana; Drego Pietro, confidente del Duca Galeazzo
Maria Sforza, da questi poi fatto chiudere in una cassa e seppellir vivo,
per feroce divertimento; Cristoforo, Cancelliere del Duca Giovanni
Galeazzo, che risiedeva a Parigi presso la corte di Luigi XI e Beltramo
(1416) amministratore dei beni del Monastero di S. Girolamo di
Castellazzo, fuori Porta
Ticinese…”.
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22 C. GIANOLA, I comuni e
le parrocchie …, pag. 1723 Cartella pergamene,
Archivio plebano di Bollate
24 G. M. VAZZOLER,
Bollate in Dizionario della Chiesa Ambrosiana, Milano
1981
25 Ibidem
26 Il De Cesare si rifà
alle notizie riportate da D.Gottardi nel suo Compendio della vita di
San Rainaldo, Verona 1789
27 C. GIANOLA, I
comuni e le parrocchie …., pag.
24 |
Il secolo XIII si chiuse a Milano con le
lotte tra i Della Torre e i Visconti, tra guelfi e ghibellini, e gli echi
di tali tormentate vicende arrivarono fino al territorio bollatese, che in
seguito a questi disordini perse i comuni di Romanino, Salvano e
Solariolo, come si trova scritto nell’opera del Gianola: “In seguito alle
guerre suscitate dal partito guelfo e ghibellino che disertò dei loro
abitanti tanti paesi, questa terra così ragguardevole ebbe a perdere assai
della sua importanza per la scomparsa dei paesi di Romanino, Salvano e
Solariolo che facean parte di questa popolosa Comunità”28 . Il Giulini29 : ricorda il paese
di Salvano nel XII secolo, citando la presenza a Milano di un certo
“Armenulfus de Salvano” e negli “Statuti delle Strade ed Acque del contado
di Milano fatti nel 1346”, è segnalato che la strada Milano- Saronno
passava, nel 1346, ‘in loco da Salvan’: questa pare essere l’ultima
notizia relativa all’esistenza dei tre comuni, dei quali, da questo
momento, si perse ogni traccia.
|
28 Ibidem, Pag. 21
29 C.GIULINI, Memorie
della città’ e campagne di Milano,Milano
1857
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Dopo il 1300, causa il sorgere di nuovi
centri di popolazione, altri paesi entrarono nella circoscrizione della
pieve, e in ogni villaggio si segnalava la presenza di un sindaco, un
console e un anziano, ai quali, tra le altre cose, incombeva anche
l’obbligo di denunciare al Capitano di Giustizia competente per
territorio, gli eventuali delitti o reati di cui fossero venuti a
conoscenza30
La pieve di Bollate, dunque, acquistava
nel tempo sempre più importanza e le sue fertili terre erano tra le più
ambite del milanese: l’arcivescovo di Milano, Francesco da Parma,
residente, non di rado, nel castello di Angera, nel 1307 risultava avere
tra i suoi beni canonicali alcuni possedimenti in Bollate31 . “Documenti del
1343 ci parlano della fondazione con donazione della Cappella di S.ta
Maria in Cancellis e in data 28 novembre 1346 troviamo diversi statuti
riguardanti la collegiata di S. Martino di Bollate [ … ] . Un regesto
degli Atti notarili di Catalano Cristiani, strumenti rogati dal 1391 al
1397, parla di Bollate, ma l’unico rimprovero da farsi al notaio è quello
di avere omesso l’indicazione del luogo ove gli atti furono rogati: detto
registro è in data 26 luglio 1397 e dice : ‘Procura in Egregium Juris
utriusque doctorem Bartolomeo da Ferrara Milanese, consigliere ducale, per
far donazione di certe proprietà al Venerabile Priore e a’ Frati del
Monastero di S.ta Maria di Busco sito nella Pieve di Bollate, nel Ducato
di Milano’. Della fine del XIV secolo troviamo pure un Codice Cartaceo che
si può considerare come lo stato della Chiesa Milanese o Milano sacra del
1398 e ci parla di una ‘Canonica de Bollate cum Capallanis’ . Detto Codice
s’intitola Notitia Cleri Mediolanensis de anno 1398, circa ipsius
immunitatem .” 32
Queste, seppur scarne, frammentarie e
spesso imprecise, sono le ultime notizie riguardanti Bollate nel secolo
XIV che ho potuto, non senza fatica , ritrovare e riferire.
Il mio lavoro termina al tramontare del
Trecento: nel Quattrocento Milano, e con essa Bollate, saranno soggette
alla Signoria dei Visconti, ma seguire le vicende di questo e dei
successivi periodi ci porterebbe troppo lontano, senza contare che le
fonti a disposizione non sarebbero sufficienti a svolgere un buon lavoro
di ricerca.
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30 G. M. VAZZOLER,
Cassina Nuova di Bollate, pag. 56
31 E. CESATI,
Monografia di Bollate.
32
Ibidem
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